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La testimonianza

«Vi racconto la vita in strada da rider»: Bruna, la bici e 350 euro al mese

di Danilo Renzullo
Bruna Balsemao Oss
Bruna Balsemao Oss

«I clienti incattiviti dalla pandemia: poche mance e spesso insulti»

03 ottobre 2022
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FIRENZE. Pedala. Di corsa per cercare di rispettare l’orario di consegna. Pedala interrottamente. Almeno venti chilometri al giorno, tutti i giorni. Non importa se il caldo asfissiante stringe i polmoni o il freddo gelido irrigidisce le articolazioni.

Bruna Balsemao Oss continua a pedalare. Di corsa, per consegnare in orario pizze e sushi e per inseguire quel sogno chiamato stabilità. Lavorativa ed economica. «Sogno di aprire un’attività legata al turismo, ma con la burocrazia italiana e i costi aumentanti in maniera spropositata è praticamente impossibile», dice Balsemao Oss, 31enne brasiliana arrivata in Italia sei anni fa.

Sta per indossare il casco. La giacca catarifrangente dai colori sgargianti di Just Eat la riparerà dalla cappa di umidità che, mista a punte di freddo pungente, ha avvolto ieri sera Firenze. Sale in bicicletta e stringe una fascia attorno al ginocchio. «Un mese fa sono caduta», ricorda. «Un monopattino mi ha tagliato la strada mentre andavo a casa a recuperare la borsa termica che mi serve per lavorare – aggiunge –. Sono caduta. Una brutta caduta che mi ha costretto ad uno stop di due settimane. Per fortuna con il contratto che Just Eat ha applicato dallo scorso anno sono in qualche modo tutelata. Mi è stato riconosciuto un periodo di malattia. Certo, sono stata costretta a casa e ho dovuto interrompere l’altro lavoro (è impiegata da precaria nel settore turistico, ndr), ma almeno ho avuto accesso ad un minimo di tutele. Inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Inimmaginabile nelle aziende di food delivery dove lavoravo».

Già, perché in sei anni Balsemao Oss si è districata nella giungla di (poche) multinazionali che hanno monopolizzato il settore. Prima Deliveroo, poi Glovo e Uber eats. Infine Just Eat. «La differenza? Le prime tre non applicano alcun contratto regolamentato, Just Eat sì – continua la rider fiorentina –. Lavoro dieci ore a settimana per guadagnare circa 350 euro al mese, ma posso far affidamento su una serie di tutele e garanzie. Prima c’era invece il cottimo. E la differenza è enorme. Chi ha un contratto regolamentato ha una paga oraria, chi è pagato a consegna deve correre. E deve correre il più veloce possibile per fare più consegne e quindi guadagnare di più. La strada diventa quindi una giungla. Non esistono più regole: l’unico obiettivo è correre. Certo – continua Balsemao Oss –, siamo tutti a rischio. Di incidente e anche di aggressione. C’è però chi rischia di farsi male e rimanere a casa senza garanzie e chi, invece, rischia di infortunarsi o ammalarsi affidandosi ad una serie di tutele e soprattutto senza rischiare di perdere quella posizione lavorativa».

Già, la posizione. Un lavoro “gestito” da un algoritmo che calcola disponibilità, turni e consegne effettuate per aumentare la “visibilità” e, quindi, le possibilità di lavorare, guadagnando nella maggior parte dei casi pochi euro a giorno. «Non è il lavoro che si sogna tutta la vita, ma è un lavoro che può aiutare a concretizzare qualche sogno – continua la 31enne –. Certo, fino a qualche mese fa il compenso era sufficiente per coprire la spesa mensile. Adesso non basta più. Con i rincari che ci sono stati, si arriva massimo a tre settimane. E più il costo della vita aumenta e meno i riders guadagnano. Prima, erano visti come qualcosa di nuovo e quasi eravamo “coccolati” dal cliente. Quasi tutti lasciavano una mancia e ringraziavano per il servizio. La pandemia sembra aver incattivito tutti, la crisi degli ultimi mesi ha invece inasprito i rapporti. Prima eravamo “persone”. Giovani e non che cercano di guadagnare qualcosina offrendo un servizio – conclude Balsemao Oss –. Adesso i riders impersonano una società e per molti clienti sono diventati la figura contro cui sfogare la rabbia per sistemi (quelli di ordinazione e consegna, ndr) che non sempre funzionano come dovrebbero».

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