Il Tirreno

Toscana

Alluvione a Livorno

Alluvione di Livorno chiesto il processo per l’ex sindaco in odor di governo

Federico Lazzotti
Alluvione di Livorno chiesto il processo per l’ex sindaco in odor di governo

Livorno, secondo la Procura Nogarin depotenziò la protezione civile e non dette l’allarme nella notte restando in casa: è accusato per le otto vittime

13 settembre 2019
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LIVORNO.  I tempi della giustizia, spesso incerti, e quelli della politica, sempre più imprevedibili, stavolta abbracciano quelli del ricordo e del dolore. Così a Livorno, mentre la città a distanza di due anni piange gli otto morti dell’alluvione, la procura invia all’ex sindaco, il pentastellato Filippo Nogarin - oggi in lizza per un posto da sottosegretario nel governo giallo rosso – la richiesta di rinvio a giudizio per la tragedia avvenuta tra il 9 e il 10 settembre 2017.

L’accusa per l’ingegnere aerospaziale che alle ultime elezioni aveva rinunciato a ricandidarsi per tentare – senza riuscirci – l’avventura in Europa, è di omicidio colposo plurimo in cooperazione. Una sorta di concorso indipendente con l’allora dirigente della Protezione civile, messo a capo dell’unità di emergenza: inglobata nella polizia municipale e depotenziata numericamente trentadue giorni prima che che l’onda di fango travolgesse il futuro della città.

Proprio questa decisione – secondo la Procura – nonostante le «precipitazioni eccezionali», è una delle numerose negligenze, imprudenze ed imperizie che Nogarin ha commesso a partire dall’8 agosto di due anni fa, fino a quelle inanellate nella notte più buia della storia della città: mentre Livorno annegava – è la ricostruzione degli investigatori – è rimasto nella propria abitazione senza attivare in qualità di responsabile della sicurezza e della salute dei cittadini, e nonostante l’allerta arancione «qualsivoglia attività di previsione e prevenzione a lui affidata dalla legge. E non assumendo – è l’ipotesi dell’accusa – la direzione e il coordinamento dei servizi di emergenza, tanto da non dare neanche il prescritto avviso al prefetto. In più senza adottare neanche i preparativi all’emergenza (la prima allerta è delle 15 del 9 settembre) come l’apertura del Centro Operativo Comunale.

«Per certi versi – è la replica che Nogarin affida a Facebook – sono sollevato: finalmente sarà un giudice terzo e dunque indipendente a valutare i fatti e i documenti e ad esprimersi sul mio operato. Perché tutti i cittadini di Livorno, a cominciare da chi in quelle ore ha perso un conoscente, un amico, un familiare, hanno il diritto di avere giustizia. E io continuo a credere profondamente nella giustizia».

C’è poi un’altra responsabilità che gli investigatori contestano all’allora primo cittadino: la mancata attivazione sul proprio cellulare della App messa a disposizione dai sindaci dalla Regione Toscana che in caso di allerta suona. Infine, e qui arriviamo alla ricostruzione delle ore più terribili, Nogarin nonostante fosse stato avvisato alle 21,22 da un dipendente della Protezione civile (l’unico in servizio quella notte) di importanti allagamenti «si recava a casa propria e ometteva fino al mattino successivo ogni contatto con i servizi di Protezione civile».

Nonostante questo, due cose – secondo il pool di magistrati che hanno seguito la maxi inchiesta – potevano essere fatte evitando forse la morte di alcune delle vittime: una prima dell’alluvione e una la notte della tragedia. In primis l’allora primo cittadino avrebbe dovuto sollecitare il consiglio comunale ad approvare il nuovo piano di Protezione civile, essendo il vecchio scaduto il 16 novembre 2016, un piano che, tra le altre cose, conteneva modifiche sulla gestione del rischio da esondazione.

Nonostante questo, anche durante l’emergenza, qualcosa poteva essere fatto secondo la Procura. Sarebbe stato necessario, però – cosa che non è stata fatta – dare l’allarme alla popolazione. Quantomeno intimare – è il monito che fa più rabbia – l’evacuazione ai cittadini che secondo le liste a disposizione della Protezione civile erano esposti a un rischio idraulico dovuto all’esondazione dei maggiori fiumi. Come la famiglia Ramacciotti, padre, madre, un figlio di quattro anni e il nonno: vite spazzate via alle 5 del mattino dalla piena mentre dormivano.

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