Il giallo
Massimo Boldi, 80 anni del maestro di comicità: la Versilia, l’amicizia con Teocoli e De Sica e l’aneddoto più divertente
Oggi, 23 luglio, il compleanno di “Cipollino”: «Alle elementari la maestra mi faceva raccontare barzellette...»
Da oltre 50 anni è entrato nelle case degli italiani con la sua comicità leggera, i personaggi surreali incontrati per strada, gli esilaranti tormentoni rimasti nell’immaginario collettivo. Fa strano pensare che Massimo Boldi – per tutti Cipollino, dal nome del personaggio televisivo che lo ha reso immortale – oggi festeggia 80 anni in un ristorante nella sua Milano in compagnia di una cinquantina di amici e delle sue tre muse, le figlie Micaela (1974), Manuela (1981) e Marta (1990). Batterista, cantante, cabarettista, comico, attore passando tra tv e cinema e collezionando una serie impressionante di record: 11 Telegatti vinti, un Davide di Donatello, un premio Vittorio de Sica. A fronte di 74 film che hanno fatto incassare al botteghino la stratosferica cifra di 70 milioni di euro con 30 milioni di spettatori davanti al grande schermo e una trentina di programmi tv che hanno fatto il boom di ascolti.
Boldi, ricorda la prima volta che ha preso il centro della scena?
«Già alle elementari. Spesso la maestra, che aveva il vizio del fumo, quando voleva accendersi una sigaretta e fare una pausa, mi chiamava alla cattedra e mi faceva raccontare una barzelletta ai miei compagni di classe».
Un precoce showman.
«Mica vero. Nasco a Luino, un piccolo paese del varesotto, da mamma Carla Vitali insegnante e babbo Mario Tranquillo che lavorava come contabile. Ero il primogenito di tre fratelli (Fabio, nato nel 1949, e Claudio nel 1955) e avevo una grande passione per la musica. A 18 anni fondai una band, gli “Atlas”, ma dovetti lasciare per l’improvvisa morte di mio padre. Ho sbarcato il lunario cambiando spesso lavoro: vetrinista, fattorino porta a porta per la Motta e nel 1971, in tempo di austerity, autista di un conte che abitava in piazza San Babila. A un certo punto ho avuto anche un bar latteria che gestivo con la mamma e i miei fratelli. Da bere potevamo servire solo latte e gli alcolici li smerciavo sottobanco. Un giorno entra una bella ragazza e mi lanciai: le offrii cappuccino e brioche. Quella signorina era Marisa che qualche anno dopo diventò mia moglie. Oggi è la persona che mi manca più di ogni altra».
Nel frattempo continuava a suonare
«Che libidine. Avevo i capelli lunghi come imponeva l’epoca del beat e non potevo prevedere che li avrei perduti. Passavo da un band all’altra e sono stato anche il batterista de “La Pattuglia azzurra” con Claudio Lippi. E poi Ricky Gianco, Al Bano e Carmen Villani».
Cosa è stata per lei la Toscana degli anni Sessanta?
«Ho fatto parte dell’orchestra di Gino Paoli alla Bussola di Bernardini a Marina di Pietrasanta. Ma in Versilia mi sono esibito anche all’Hop Frog a due passi dal molo di Viareggio. Una piccola discoteca-cabaret di qualità con un pubblico preparato, severo e critico. Era un banco di prova per chiunque saliva su quel palco, che si trattasse di jazz, sketch comici o teatro civile. Della Toscana mi è rimasta appiccicata la grande cucina degli chef stellati. Da lì nasce il personaggio del cuoco contrario alla pentola a pressione “che non si riesce a vedè la cottura. Come dite voi cottura a Milano? Dite cottura, noi a Firenze si dice otturaaa”».
Chi è stato l’artefice del passaggio da batterista a comico?
«La metamorfosi è avvenuta al Derby Club di Milano. Avevo 23 anni e suonavo in una band incaricata di eseguire stacchetti musicali tra un numero e l’altro. Vedevo esibirsi Villaggio, Abatantuono, Lauzi, i Gufi e altri artisti. Incominciai a dilettarmi nell’imitazione del titolare del locale, Gianni Bongiovanni detto il “Bongio”, che aveva un modo sconclusionato di parlare e in poco tempo quella parodia divenne un classico dello show. Decisivi sono stati gli incontri con Jannacci e Cochi e Renato. Scoprirono la mia vis comica e mi fecero debuttare in tv durante “Canzonissima” del 1974 condotta dalla Carrà».
L’amicizia con Teo Teocoli e Christian De Sica
«Con Teo cominciò l’epopea di “Non lo sapessi, ma lo so” e “Se lo sapessi lo dissi” su Antennatre Lombardia. Lui doveva presentarmi al pubblico e io ero dietro le quinte mascherato con un’enorme testa di animale fatta con la cartapesta. Teocoli a un certo punto inizia: “Signore e signori, bambine e bambini, prima di andare a letto accogliamo insieme il nostro beniamino: diciamo tutti insieme Ci, ci, ci, ci… Cipollino”. E da lì Max Cipollino, sempre grazie a Teo, diventa uno strampalato conduttore di un telegiornale di una piccola tv privata che rispondeva alla regia con il telefono posato sulla scrivania e nella foga spaccava l’apparecchio. Con Christian De Sica ho fatto coppia fissa al cinema per più di 20 anni. Me lo presentò l’impresario di Celentano. Siamo ricordati come la coppia d’oro dei cinepanettoni e ne vado fiero. Sono stati un genere popolare che ha fatto parte della vita degli italiani. A Natale non c’era una persona che non avesse visto al cinema uno dei nostri film d’evasione. Anche oggi la gente mi ferma e dice: “Sa quante risate ci siamo fatti in famiglia grazie a lei?”. E io mi commuovo».
L’aneddoto più divertente durante le scene di un film?
«Neri Parenti mi ha salvato la vita durante una scena del film “Cucciolo” del 1998. C’era un parco acquatico e io, che non so nuotare, dovevo buttarmi giù da uno scivolo e finire in piscina. “Vai tranquillo l’acqua e bassa” mi incoraggia il regista. Era vero, ma mi sono lanciato e sono caduto all’indietro. Non riuscivo a rialzarmi e ho iniziato a bere. Fortunatamente Neri se n’è accorto e mi ha tirato su per i piedi».
Quale film sarebbe pronto a rifare nel 2026?
«Vista la grande richiesta del pubblico con Ezio Greggio e Jerry Calà abbiamo l’idea di rifare il terzo “Yuppies” al cinema e il prossimo cinepanettone vorrei chiamarlo “Natale a casa Boldi”. La verità è che a 80 anni vorrei riavvolgere il nastro e rifare tutto daccapo».
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