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Musica, con lo streaming non si campa: «Zero proventi per gli artisti»

Musica, con lo streaming non si campa: «Zero proventi per gli artisti»

Ricerca dell’Università Cattolica: il 79% degli musicisti riceve cifre irrisorie. Si moltiplicano le piattaforme ma mancano regole e meccanismi certi

21 febbraio 2024
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Il futuro, anche della musica, sarà nello streaming. I vecchi, cari vinili sono ormai quasi un prodotto per feticisti, i compact disk e le musicassette riempiono le discariche: le note oggi corrono sulle piattaforme e riempiono le infinite galassie del web. Piaccia o meno, questo è il futuro. Ma c’è un problema, e non di poco conto: quanto valgono i diritti in streaming degli artisti? Zero, o giù di lì. Almeno queste sono le risultanze di una ricerca realizzata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Itsright, la società che gestisce i diritti di oltre centocinquantamila tra artisti e musicisti nel mondo. In soldoni: la musica vola dovunque e in ogni momento, ma nelle tasche di chi la musica la concepisce e la interpreta non arrivano che spiccioli.

Un lavoro condotto tramite un questionario cui hanno risposto 800 artisti, e trecento di questi sono stati “campionati”. Circa la metà ha chiaramente ammesso di non essere in grado di mantenersi con la sola musica. E il 79% degli artisti dichiara di non ricavare nulla o somme irrisorie dai diritti provenienti dello streaming. Il 40,3% non sa quantificare l'ammontare dei proventi dallo streaming, mentre il 26,3% dichiara proventi inferiori ai 100 euro all'anno. Il 21% dichiara introiti compresi tra i 100 e i 1000 euro. Ogni artista del campione è però presente in media su 3,3 piattaforme di streaming. Tra le più citate ci sono YouTube (71,7%), Spotify (65%), Apple Music (50%), Amazon Music (46%), Deezer (33,7%), Tidal (24%), QoBuz (14,3%). «Si registra – spiegano alla Cattolica – una diffusa inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming, che, combinata a uno scarso accesso alla reportistica relativa alle performance delle proprie tracce e a una generale sfiducia nella trasparenza delle case discografiche come intermediarie, complica ulteriormente il quadro di vulnerabilità dell'artista». Situazione quantomeno caotica: basti pensare che il 45 per cento degli interpellati dichiara di non avere mai ricevuto rendiconti.

«Il futuro di prosperità e stabilità per gli artisti che promettevano le piattaforme di streaming, con il superamento della pirateria come primo canale di distribuzione musicale, sembra ancora di là da venire – spiega Matteo Tarantino, docente di Data, Communication & Society presso la Cattolica e responsabile scientifico della ricerca – È evidente che il sistema così com'è articolato non funziona e soprattutto non porta alcun profitto certo».

«Gli artisti restano relegati al ruolo di comparse in un ecosistema che vede arricchirsi tutti tranne loro», ha detto il cantante Mario Biondi, ospite dell'evento di presentazione della ricerca.

Il problema maggiore, secondo la ricerca, risiederebbe nella rendicontazione, che secondo gli intervistati avviene per il 14% di essi da parte delle stesse piattaforme di streaming, per il 45% dai distributori digitali e per il 19% dalle case discografiche. Il 45% del campione dichiara però di non aver mai ricevuto un rendiconto relativamente allo stream dei propri brani. Il 91,7% del campione dichiara di non aver formalizzato alcun contratto che regolamenti i compensi per lo streaming nel biennio 2021 - 2023. Per gli artisti con un contratto discografico, attualmente sono le etichette discografiche a stringere accordi con le piattaforme di streaming e a gestire gli incassi e la redistribuzione dei compensi. Secondo la ricerca, però, il 37,3% del campione ritiene le case discografiche poco trasparenti su questo fronte. Musica libera per tutti, ma pochi guadagnano.

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