Il Tirreno

E poi all'improvviso
L’intervista

Vittoria Belvedere: «Una sfuriata, poi quelle foto sexy. A Sanremo la mia carriera svoltò»

di Clarissa Domenicucci

	Vittoria Belvedere e Pippo Baudo
Vittoria Belvedere e Pippo Baudo

La ragazzina della Calabria e l’incontro col fotografo delle star: «Armani ai miei piedi, Baudo e l’“aiutino” di Striscia grazie ai consigli del truccatore»

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È il 27 dicembre quando incrociamo gli occhi azzurri e gioiosi di Vittoria Belvedere, protagonista dell’ultimo appuntamento dell’anno con la rubrica sui grandi incontri della vita. È una donna pratica Vittoria, solida, due qualità che si percepiscono all’istante e che non cozzano con l’evidente bellezza e la grazia innata, anzi le rendono più preziose. D’altronde, nata sotto il segno del capricorno a Vibo Valentia, calabrese fino al midollo sotto certi aspetti, non poteva essere altrimenti. Vittoria si trasferisce da piccolissima nella provincia di Monza e cresce in Brianza, poi viene adottata da Milano con la quale condivide il rigore, la precisione, e infine conquistata dall’immediatezza di Roma, dove ha messo le radici insieme al marito e ai tre figli. La Capitale tanto amata che però inizia ad andarle un po' stretta: «È faticosa, sporca, trafficata. Sogno un piano b».

Cominciamo subito dagli incontri che cambiano la vita…

«Col senno di poi Bruno Oliviero è stato un incontro cruciale, ma l’ho capito tempo dopo visto come è andata tra noi».

Come?

«Avevo posato per la copertina del suo libro, un nudo vedo non vedo affatto volgare, un servizio importante. Arriva il giorno della conferenza stampa e scendo da Milano a Roma, dove alle undici mi aspettavano parrucchieri, truccatori, giornalisti… Mi perdo, e arrivo con mezzora di ritardo. Oliviero mi accoglie urlando, inveisce contro di me; io rossa e riccia, stavo a testa in giù mentre mi cotonavano i capelli e lui me ne gridava dietro di tutti i colori. Non me lo meritavo. Nella puntualità sono milanese, spacco il minuto io, ma quel giorno davvero mi ero persa e all’ennesima cattiveria inenarrabile, con gli occhi gonfi di pianto, pensai “ma chi me lo fa fare?”, ebbi uno scatto di amor proprio. Mi alzai in piedi come una furia, lo mandai a quel paese e me ne andai. Non l’ho più rivisto, ma tempo prima mi aveva presentato una persona che divenne fondamentale per la mia carriera e per la mia vita, Paola Petri. Lei mi prese sotto la sua ala protettiva e divenne la mia agente, non so cosa abbia visto in me. È stato l’incontro che ha rivoluzionato la mia vita professionale ed è stato anche grazie a Oliviero».

Come era il suo rapporto con Paola Petri?

«Familiare. Paola è stata una seconda madre e come fa una madre mi stuzzicava, lanciava frecciatine: “Sei troppo aristocratica, troppo bella” diceva, stimolandomi a fare di tutto per essere credibile. Questo divenne il mio pallino: a prescindere da come andasse un provino, io dovevo essere credibile, togliermi di dosso questo stampino di “bella”, andare oltre le apparenze. Fino a un certo punto della mia vita non ho vissuto bene la bellezza».

Fino a quando?

«Con i figli sono cambiata fisicamente e mi sono ritrovata in questo nuovo corpo che sento più mio. Le gravidanze e la tiroide - ho scoperto di essere ipertiroidea - mi hanno un po' prosciugata; prima ero procace, avevo la terza di seno e un corpo mediterraneo. Non mi piaceva quando me lo facevano notare perché non mi ci sentivo bene dentro. Non ero in pace nell’essere così esplosiva e sensuale».

Sognava un fisico androgino?

«Esattamente, il mio ideale è da sempre la donna Armani, lo stilista del cuore che mi ha vestita a Sanremo».

A proposito: Giorgio Armani inginocchiato ai sui piedi per prendere le misure degli abiti per Sanremo. È stato il giorno in cui ha pensato: finalmente ce l’ho fatta?

«In realtà no, non ho mai pensato “ecco la grande occasione” e non l’ho cercata: questo perché non sono una donna ambiziosa, piuttosto mi sono fatta trascinare dagli eventi. Tutto è arrivato casualmente, io ho soltanto assecondato la fortuna che si presentava, preparandomi. Ogni volta che la fortuna bussava alla porta io “la rispettavo” studiando, prendendo lezioni private di dizione, ripetendo con un insegnante le battute… Diciamo che non mi sono mai fatta trovare sprovveduta».

Chi le ha dato il consiglio migliore sul lavoro?

«Mi viene in mente un aneddoto. Durante il Festival di Sanremo (che inizialmente avevo rifiutato dicendo a Pippo Baudo “ce ne sono di molto più brave di me, io non sono in grado”), per alimentare un po' le polemiche, “Striscia la Notizia” tirò fuori le foto osé scattate anni prima con Oliviero, quando ancora ero procace, dalle forme prosperose. Nacque il caso: l’algida Belvedere in versione hot. Ovviamente ero colpita dalla cosa, in quei cinque giorni di festival tutto fa eco, diventa un titolo e mi preparavo a rispondere in conferenza stampa ai giornalisti, quando Marco Terzulli, grandissimo truccatore e parrucchiere, mi consigliò: “ringrazia Antonio Ricci, ringrazialo apertamente per aver mostrato a tutti che un tempo anche tu hai avuto un seno e delle forme. Digli: grazie per averlo fatto vedere». Così ho fatto: ci ho giocato, ho ringraziato Striscia sorridendo e qualche anno dopo, quando ho incontrato Antonio Ricci, la mia rivincita: mi ha detto “sei stata una grande”».

È il 2002 quando arriva sul palco dell’Ariston per affiancare Pippo Baudo, insieme a Manuela Arcuri. Chi c’era seduto in prima fila ad applaudirla?

«Mio marito Vasco, che venne alle ultime tre serate, dopo aver gestito i figli e la casa, come sempre quando mi si presenta un’occasione di lavoro. Lui mi dice “vai tranquilla, ci sono io a casa” e questo non ha prezzo».

Un uomo che non teme l’affermazione della donna, ma anzi la incoraggia...

«E pensare che dovevo sposare un carrozziere che mi chiedeva di lasciare il lavoro...»

Ci racconti.

«Viaggiavo tra provini e piccoli lavori, fidanzata da tempo con questo ragazzo che faceva il carrozziere a Torino e che a un certo punto, stufo del mio andare e venire, mi disse: “molla tutto e sposiamoci o non se ne fa nulla”».

E lei?

«Promisi a me stessa: faccio gli ultimi due provini e poi chiudo per sempre. Invece mi presero per girare Sandokan e partii per l’India. Andò così».

Quando conobbe Vasco e cosa pensò di lui al primo colpo d’occhio?

«Ci siamo conosciuti una sera a Roma ad una festa a casa di amici benestanti, dove l’unico ad avere un look trasandato, con una t-shirt strappata, era lui ed io ho pensato: è un mio simile. L’ho riconosciuto subito. Sa cosa ho pensato quando a fine serata mi riaccompagnò a casa?»

Cosa?

«“Allora il principe azzurro esiste davvero!”. Se alla festa mi era sembrato uno scappato di casa mi accorsi subito che nei modi era un principe. Mi apriva lo sportello della macchina, era pronto ad accendermi la sigaretta, come in un film anni ’50… Mi colpirono le sue attenzioni, la sua incredibile gentilezza».

È Vasco l’incontro che le ha cambiato la vita?

«Senza dubbio, ma all’inizio ho dovuto faticare».

Perché?

«Lui di buona famiglia, benestante, romano dei Parioli; io di famiglia modesta, diciamo anche povera, calabresi emigrati nella provincia di Monza per spaccarsi la schiena. Avevo paura di questa diversità di provenienza, a me non interessavano affatto i lustrini della vita agiata, anzi mi guardavo bene dai consigli di mia madre: sposati un buon partito! All’inizio ho faticato ma insieme ce l’abbiamo fatta, abbiamo affrontato tante difficoltà».

Dopo l’incontro la storia è subito decollata?

«No. Lui doveva fare i conti con un passato emotivamente complicato. La sua affettività era viziata dal caos, da alcuni tormenti familiari che lo avevano settato su una normalità affettiva fatta di scontri e di incertezze. La mia serenità, il mio svegliarmi felice al mattino solo perché sono viva, spiazzarono la sua “normalità” e per un po’ ci lasciammo».

Per poi ritrovarvi. Il grande amore, alla fine, ha spiazzato lui

«È una persona ammirevole, ha fatto tanti anni di analisi, oggi è più sereno. Non si lascia andare facilmente, non mi dice ti amo ogni settimana, ma se mi domanda: cosa vi dite ancora dopo 25 anni? Le rispondo “tanto”, che siamo cresciuti insieme e che abbiamo ancora tanto da fare. Vorrei viaggiare, godermi di più la vita con lui senza le distrazioni della vita frenetica».

Avete tre figli. Sognava una famiglia numerosa?

«Sì, da buona calabrese sognavo una grande famiglia animata dai valori in cui credo e devo dire che con Vasco è andata così. A volte mi ritrovo a pensare a quando diventeremo nonni. Lui dice che siamo troppo giovani e che i figli devono crescerli i genitori, ma a me l’idea di stare insieme, ancora una volta dietro a un bambino, diverte tanto».

Tornando agli inizi, quando ha presentato la sua rumorosa famiglia calabrese a Vasco, futuro marito?

«Mi vergognavo ma dopo un po' ho dovuto dirglielo: “Vasco, dovresti venire a casa a chiedere la mano a mio padre. In Calabria ancora si usa…” E Vasco arrivò a Vimercate, nella casetta a schiera dei miei genitori, intorno quelle dei parenti, dove ci si riuniva sotto, nella taverna che era anche un garage. Si parcheggiavano le macchine fuori e si pranzava tutti insieme. Dopo il caffè mio padre, muratore, chiese a Vasco di fare due passi e lo portò al furgone; aprì il cofano. “Lo vedi il badile?”, gli domandò. “Ecco”, continuò papà, “nella nostra famiglia le donne si trattano bene e di divorzi non ne abbiamo mai avuti… Se le fai del male vengo a Roma e il badile te lo do in testa!”. Vasco ancora oggi lo racconta agli amici».

Vittoria Belvedere, la sua vita col carrozziere e la sua vita con Vasco. Ci pensa mai che poteva andare diversamente?

«Eccome. Avessi dato retta a quell’altro avrei aperto una merceria e mi sarei persa la parte più bella».




 

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