Il Tirreno

Pignatelli e il suo “campo di Gosto” «È come la mia terra, aspro e libero»

di Sabrina Carollo
Pignatelli e il suo “campo di Gosto” «È come la mia terra, aspro e libero»

La scrittrice racconta nell’ultimo romanzo la durezza della vita dei piccoli borghi «Il Guatemala mi ha ricordato la Toscana tra riti e veglie durante le trebbiature»

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Scordatevi la Toscana idilliaca e un po’ finta ad uso e consumo dei turisti. Quella che racconta Anna Luisa Pignatelli nei suoi romanzi - l’ultimo è “Il campo di Gosto”, pubblicato da Fazi Editore - è una regione aspra, fatta di persone un po’ meschine, difficile per chi non si uniforma, di certo autentica. La scrittrice racconta con un linguaggio semplice e pulito la durezza della vita di campagna, la solitudine di chi non si allinea, la condizione claustrofobica dei piccoli borghi in declino.

Parte da ciò che conosce, la terra in cui è nata - anche se per il lavoro del marito, diplomatico, ha vissuto tanti anni all’estero - eppure la dimensione dei suoi personaggi ha qualcosa di universale, quasi archetipico. Lasciano il segno, le sue storie, smuovono sensazioni che conosciamo e che a volte rifuggiamo, che invece lei affronta con antico disincanto.

Signora Pignatelli, da dove nasce questa sua questa visione della realtà, questa storia?

«È la visione che ho della vita: abbastanza cupa - i tempi che stiamo vivendo lo confermano -. Ciò non toglie che si possano avere degli ideali e una speranza di cambiamento. Condivido questa visione un po’ nera con un altro scrittore toscano che amo, Federigo Tozzi; sono cresciuta nelle Crete senesi, dove la vita era effettivamente dura, più di ora, ma al contempo c’erano valori. Un contrasto da cui è nato il personaggio di Gosto: volevo descrivere una persona che si trova isolata, in una società che gli è ostile perché è diverso. Vuole stare per conto suo, ama la natura, il silenzio, ha ideali di giustizia e di libertà, cerca di avere fiducia negli altri anche se le persone che lo circondano hanno solo esigenze materiali, ossequiano i potenti. Come del resto penso sia in generale la società, dove le persone si appiattiscono sul potente senza giudizio critico, per cui alla fine si crea una forma di complicità tra la maggioranza silente e chi detiene il potere, che così può approfittarsene. Se le persone abdicano al proprio senso critico, la prima vittima è la verità».

Lei ha vissuto in molti paesi differenti, ha trovato anche altrove questo tipo di relazioni?

«Concerne tutte le società. Alcune sono più vigili, altre meno, in generale ci sono periodi di decadenza in cui il senso critico diminuisce. Una democrazia deve sempre stare molto vigile e non perdere di vista certi valori - questo è un po' quello che volevo dire con il romanzo»

Le descrizioni della natura invece sono molto poetiche, in contrasto con i personaggi.

«Il rapporto con la natura, con il fiume, è per Gosto qualcosa di molto costruttivo. Il suo campo diventa un territorio di libertà, dove può essere finalmente se stesso».

Il libro inizia con il primo giorno di pensione del protagonista. Cosa rappresenta?

«È una finestra sul vuoto, un momento molto duro per tutti, angoscioso. È il momento in cui una persona ha il tempo di farsi domande sul senso della vita, un abisso ma anche una bella occasione. Gosto è un uomo che ha delle risorse, non si abbandona a certi rituali come i pensionati del borgo che si limitano a giocare a carte al bar».

Come mai di tutti i posti che ha girato alla fine i suoi romanzi sono ambientati qui?

«Quanto più mi allontanavo dall’Italia, tanto più mi tornavano le voci di queste terre, gli echi di personaggi che in Toscana sono sempre molto incisivi. E le voci di alcuni scrittori toscani, Tozzi ma anche Cassola, Tabucchi con questo suo senso dell'ironia e del gesto che poi dà senso a un’esistenza, come succede a Gosto quando decide di denunciare questo fatto di violenza. Queste immagini di una Toscana lontana si imponevano in me, era quasi un’esigenza parlarne».

Il linguaggio che usa è particolare, asciutto, diretto.

«Sicuramente questi autori hanno un loro peso, tuttavia trovo che il toscano sia proprio una lingua molto scarna, che va dritto al nocciolo ma poi ha questo modo molto elegante di evolvere. Inoltre abbiamo delle bellissime espressioni, molto ironiche».

I suoi personaggi hanno poche sfumature intermedie: o positivi o negativi.

«Gosto è un uomo che ha bisogno per vivere di dare fiducia agli altri ma è anche un carattere schivo, uno che finisce per sfuggire agli altri perché sente che gli altri non credono nelle cose in cui crede lui. Ne scorge l’opportunismo, la paura, mentre lui ha bisogno di coltivare valori autentici. Per questo si orienta verso due giovani, Stella e Lucio, perché pensa che loro ancora possono credere in qualcosa. Poi c'è anche la moglie, completamente differente da lui, che diffida di tutti, ha avuto un’infanzia difficile e quindi pensa di doversi difendere. La vita di questo borgo è un riflesso della società, in cui i giovani devono provare a non arrendersi, ad essere se stessi contro i modelli dominanti. Liberi»

Di tutti i paesi che ha visitato dove ha vissuto ce n’è qualcuno che secondo lei è più affine alla Toscana?

«Ho vissuto molti anni in Guatemala, dove ho trovato una civiltà rurale che mi ha ricordato moltissimo quella in cui sono cresciuta: i riti, le processioni, i raduni della gente in campagna, le veglie durante le trebbiature, quando i mezzadri si riunivano per lavorare e poi si sedevano a bere vino in allegria, ovviamente in forme diverse, ma me l’ha rammentata».

È cambiata molto la Toscana da allora?

«Tanto. Le campagne erano molto popolate, c’erano solidarietà, valori condivisi. Poi nel giro di una manciata d’anni le campagne sono state abbandonate, si è creato questo vuoto angoscioso, i giovani se ne andavano in fabbrica e i vecchi restavano nei poderi perché si rifiutavano di andare via, soli a occuparsi di ciò che restava. È stato un passaggio repentino che mi ha segnato. Ricordo questo grande casolare di cui rimaneva una sola finestra illuminata, quella di una coppia di anziani contadini che resistevano come degli eroi, fino a che non si è spenta anche quella. Anche la Toscana dei borghi è diversa, purtroppo non sempre in meglio. C’è un turismo compulsivo, di persone che vengono senza neppure guardare».

C’è speranza?

«Si, ma si tratta di un processo lento. La maggioranza non si fa domande, preda di valori materiali, dell’apparenza. Ma ci sono persone che vanno dritte per la propria strada e danno un esempio positivo. I protagonisti dei miei libri sono sempre persone messe ai margini, ma che rappresentano le forze propulsive della società. In loro si ritrova originalità, senso critico e voglia di migliorare».

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