Il Tirreno

L'intervista

Brave ragazze senza giustizia. «La povertà rende vulnerabili»

di Sabrina Carollo
La scrittrice indiana Sonia Faleiro sarà oggi alle 16,30 al bistrot della Manifattura Tabacchi
La scrittrice indiana Sonia Faleiro sarà oggi alle 16,30 al bistrot della Manifattura Tabacchi

Sonia Faleiro racconta la rabbia per l’impiccagione di due giovani donne. «Vedere i corpi sottili è stato straziante, ho provato molta rabbia»

22 ottobre 2022
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Un libro doloroso ma necessario.

La scrittrice indiana Sonia Faleiro ha pubblicato un volume che, pur raccontando uno specifico evento avvenuto in India, parla a tutti: “Le brave ragazze” è un’indagine sulla morte di due ragazzine dell’Uttar Pradesh, regione “in testa alle classifiche quanto a numero di omicidi”, che tuttavia ci tocca da vicino perché con questa storia esemplare l’autrice ci costringe a guardare negli occhi la complessità della realtà, in cui non esistono soluzioni semplici, che si viva nella campagna di Delhi o in una città italiana. Il volume verrà presentato oggi a “L’Eredità delle donne”.

Perché ha scelto proprio questa storia?

«Sono venuta a conoscenza del delitto da Twitter, dove era stata postata una foto delle due ragazzine impiccate. Quell’immagine era la rappresentazione del fatto che, nonostante tutti i cambiamenti che erano effettivamente avvenuti, in termini di interventi governativi e di mentalità delle persone, in seguito allo stupro e all’uccisione di una studentessa di 23 anni nel 2012, evidentemente non era stato fatto abbastanza. Vedere i loro piccoli corpi sottili è stato straziante, ho provato molta rabbia. Allo stesso tempo da un punto di vista antropologico sentivo il bisogno di capire cosa fosse successo. Appena raggiunto il villaggio mi sono accorta che qualcosa nella versione ufficiale non tornava. Così ho cominciato a indagare».

È stato difficile?

«Mi ci sono voluti quattro anni, avanti e indietro da Londra, ho intervistato più di cento persone, a volte ho dovuto avvalermi di un interprete, perché da quelle parti parlano un dialetto hindi, insomma è stata un’autentica indagine giornalistica vecchia scuola, con molte ipotesi, molte domande. È stato sfidante».

Perché è così difficile arrivare alla verità?

«Le persone hanno paura di essere fraintese, giudicate. Hanno paura che la loro sopravvivenza sia messa in pericolo. Molti di noi poi non sono abbastanza forti per guardare nello specchio, per guardare in faccia la verità. I familiari di Padma e Lalli stavano cercando di proteggere le altre ragazze della famiglia. Sapevano che per loro se fosse stato reso noto che una delle due ragazzine stava intrattenendo rapporti prematrimoniali, la cosa avrebbe creato problemi a tutte le altre bambine. Adoravano le loro figlie, ma hanno dovuto essere pragmatici. Quando la sopravvivenza non è garantita, devi affrontare questi dilemmi ogni singolo giorno, facendo scelte che altre persone giudicherebbero duramente. Anche in Italia succede che le famiglie non accettino le scelte dei figli, per esempio in termini di orientamento sessuale».

Perché la reputazione è così importante?

«Quello che credo di aver capito è che in un villaggio, in cui le persone non hanno quasi niente e sono estremamente vulnerabili, la reputazione è la sola cosa che possono controllare. In molti posti nel mondo, ma specialmente in India, le condizioni in cui nasci definiscono la tua vita, determinano la tua classe sociale, la tua educazione, il lavoro che farai. Se hai molto poco, diventi ossessionato da ciò che puoi controllare, ovvero ciò che le persone vedono di te. Sulla base della reputazione si fanno affari, le tue figlie possono fare un buon matrimonio. Quindi conta tantissimo.

È ancora forte il sistema di caste o vige solo in campagna?

«Nascere in un sistema di caste è come nascere con delle manette ai polsi. Non puoi cambiare, non lo puoi nascondere, definisce tutto ciò che sei. È un sistema terribile, è la radice di molte delle cose peggiori che avvengono oggi in India. In campagna poi tutti si conoscono, da generazioni. In città ti puoi confondere meglio, se sei abbastanza in gamba forse riesci a nascondere da che casta provieni. In campagna è impossibile. Leggendo il libro, si ha la sensazione che la povertà sia la vera causa della condizione femminile, prima ancora che le tradizioni».

Qual è il nemico peggiore tra i due?

«Migliori condizioni economiche possono garantire alle donne una maggior scolarizzazione. Anche in India, come nel resto del mondo, un titolo di studio può portare all’indipendenza economica e quindi a una migliore condizione. Questo vale però soprattutto per la classe media. Per assurdo, nelle famiglie molto ricche la tendenza è di mantenere lo status quo, per cui anche se i figli vanno a studiare in America, nelle università più prestigiose, quando tornano, se sono maschi gestiscono gli affari di famiglia, ma se sono femmine si sposano. È anche una questione culturale dunque. In Italia tendiamo a pensare ai social come a qualcosa di strettamente connesso a fake news, pericolosi – dai modelli irraggiungibili al revenge porn. Per lei in realtà sono stati uno strumento utile».

Come li giudica?

«Globalmente, i social media sono diventati il luogo della disinformazione, della violenza e degli assalti verbali che talvolta si spostano anche nella vita reale. Penso siano tossici praticamente ovunque. Ma è anche vero che movimenti come Black Lives Matter negli Usa hanno dimostrato come con le giuste intenzioni i social possano essere utili per aggregare movimenti positivi e originare un cambiamento. In India avete avuto diversi presidenti donne ma la cosa non sembra aver cambiato molto la condizione femminile. Anche noi in Italia stiamo per avere la nostra prima presidente del consiglio donna».

Basta il genere per cambiare le condizioni?

«Indira Gandhi è stata la prima donna primo ministro eppure la sua è considerata praticamente la prima dittatura orientale. Il fatto che una donna governi può essere indubbiamente di grande ispirazione: Sonia Gandhi è stata capo del primo partito d’opposizione e una fantastica leader. Abbiamo bisogno di entrambe le cose. Non si tratta semplicemente di genere, dipende da come si lavora».

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