“Raffaello in guerra” tra i panzer nazisti C’era una volta la Resistenza culturale
Il libro di Scansani fa riflettere sulle divisioni del Paese L’epico salvataggio del dipinto “Estasi di Santa Cecilia”
Massimiliano Panarari
La Resistenza fatta dagli storici dell’arte. Non ci furono solo i “Monuments Man” anglosassoni (celebrati dall’omonimo film di George Clooney del 2014) a combattere in prima fila per difendere le opere d’arte dalle razzie naziste (o dalla concupiscenza privata dei gerarchi hitleriani). E, dunque, a lottare anche sotto questo profilo per la civiltà contro la barbarie nazionalsocialista. Ma anche svariati altri eroi civili, a volte perfino a loro insaputa.
Mentre si è chiusa al Quirinale la grande mostra su Raffaello nel cinquecentenario della sua morte, si è aperto – o si dovrebbe aprire – lo spazio per una serie di riflessioni sul patrimonio artistico-culturale del Belpaese nell’ “era Covid”. Perché tra le tantissime eredità funeste della pandemia di coronavirus in corso, e tra le problematiche che investiranno i difficili anni a venire, ce n’è proprio una – fondamentale e, come accade purtroppo a molte questioni decisive in Italia, non adeguatamente affrontata – che investe il futuro ravvicinato dei nostri giacimenti di arte, cultura e bellezza. Quelli che hanno reso l’Italia una “superpotenza culturale” – a volte, si può dire, quasi suo malgrado, visto lo scarso investimento di risorse e di volontà politica per valorizzare il patrimonio in una chiave che non fosse esclusivamente conservativa. Ma l’avvenire generato dalla pandemia obbliga a ripensare il nostro posizionamento come Paese anche in quello che potremmo chiamare il mercato globale dei beni culturali, dal momento che diventa non più possibile vivere “di rendita” in un contesto di fortissima riduzione dei flussi turistici internazionali (e pure interni), e di messa in discussione della loro fruizione con la riduzione cospicua del numero di utenti ammessi a mostre, esposizioni ed eventi culturali e musicali a causa dei protocolli sanitari.
Viene così messo in discussione tutto un universo che costituisce una quota pregiata e qualificata del Pil nazionale, oltre a svolgere una funzione di creazione dei tessuti della cittadinanza e – se si può ancora usare la parola – pedagogica, che andrebbe appunto concepito in maniera più convinta e strategica anche nei termini di un ambito e di un’opportunità di sviluppo di identità e immaginario collettivi. Così da generare una forma di “patriottismo culturale” da affiancare a quello “costituzionale” (che, malauguratamente, continua ancora a essere oggetto di contestazioni).
Aiuta a concentrarsi e a meditare al riguardo un libro, uscito da poco, che – in una chiave peculiare – presenta anche Raffaello tra i suoi protagonisti. Si tratta di Raffaello in guerra (Aliberti, pp. 138, euro 16), scritto dal direttore della Gazzetta di Reggio Stefano Scansani, che di arte e storia dell’arte si occupa da molto tempo.
Nel 2020, infatti, ricorrono anche i 76 anni del salvataggio, svoltosi come un’avventura epica (e molto pericolosa), di uno dei capolavori del sommo pittore urbinate: l’Estasi di Santa Cecilia. Una storia poco conosciuta, che prese avvio nel luglio del 1944, animata da una variopinta e “insospettabile” compagnia di personaggi – di studiosi dell’arte ai falegnami, facchini e trasportatori (spesso inconsapevoli del carico) – che si ritrovò al centro di un’altra guerra segreta (letteralmente, una cultural war).
Il dipinto di Raffaello, insieme con altri trentacinque della Pinacoteca di Bologna (tra cui opere – già salvate da razzie precedenti – di Francesco del Cossa, Parmigianino, Giotto, Guido Reni, Piero della Francesca e la spada Bentivoglio), venne caricato su un camion per essere trasportato lontano dal conflitto. E a dirigere queste particolari operazioni belliche si ritrovarono direttori di musei e storici dell’arte come Guglielmo Pacchioni, Gian Alberto Dell’Acqua, Francesco Arcangeli, Ludovico Ragghianti, Cesare Gnudi, Giulio Carlo Argan.
Il camion con il suo preziosissimo carico, diretto alla volta del deposito segreto dell’Angolo Morto (sul Lago Maggiore), scampò ai bombardamenti degli Alleati, ma venne arrestato dal Po, che non era attraversabile. E, così, si ritrovò accanto alle colonne di mezzi e convogli nazisti bloccati anch’essi sugli argini del grande fiume.
Non facciamo spoiler sul resto della vicenda, che Scansani racconta con grande passione e conoscenza (e con l’andamento, a tratti, di una succulenta “spy story”), ma ci permettiamo di suggerire di utilizzare questo libro anche quale spunto di una riflessione su un Paese che continua, sotto forme diverse, a ritrovarsi diviso e polarizzato. È uno dei vari pensieri suggeriti proprio dall’autore, che ne parlerà al Festivaletteratura di Mantova venerdì 11 settembre. Ed ecco perché l’arte potrebbe fornire un lenitivo e una medicina per suturare le ferite di una nazione complicata (e in sofferenza) come la nostra che, al contempo, si rivela produttrice di bellezze uniche. –