I gol su punizione sono spariti. Addio alle romantiche "pennellate" sopra la barriera
Nessuno segna più su calcio piazzato: meno falli al limite dell'area. Oggi non si resta in campo a provare a fine allenamento come Mihajlovic, Pirlo, Branco, Platini e Baggio
Diceva Sinisa Mihajlovic, che aveva il sinistro baciato dagli Dei: «Ho allenato per tanti anni, ma non ho mai trovato un giocatore che dopo l’allenamento mi dicesse “Mister, posso rimanere per tirare le punizioni?”». Lui, rimpiantissimo campione di un calcio lontano, a calciare le punizioni ci stava finché il sole non spariva dietro alla porta e gli imponeva la doccia. Provava, riprovava, fino allo sfinimento suo e del povero portiere che a turno veniva precettato dal diabolico serbo. E giorno dopo giorno, parabola dopo parabola, la palla finiva sempre più vicino al sette, accarezzandolo, imparabile.
Già, le punizioni. Passepartout per i geni del pallone, gesto tecnico di inenarrabile difficoltà ma di altrettanta bellezza quando riesce. Un pezzo di modernariato, ormai. Sapete quanti gol su punizione sono stati realizzati nelle prime cinque giornate di campionato? Zero. L’anno scorso, in 38 partite, furono 13. Ventidue l’anno prima, diciannove nell’assurda stagione degli stadi chiusi per Covid. Una magia perduta, antiquariato calcistico buono ormai per aste da amatori.
Gli allenatori, è vero, si sono fatti furbi. Il diktat è chiaro: evitate tassativamente di fare fallo al limite dell’area. E infatti, l’arbitro che indica il punto esatto della punizione, a pochi metri dalla linea dei sedici metri, si vede sempre meno. Poi ci sono i video, già, i social, si sa tutto di tutti. I portieri, quando subiscono un calcio di punizione, sanno alla perfezione come sarà calciata: alta, bassa, a parabola, tesa, effettata o meno. Poco da inventare, poveri specialisti. Ne sono rimasti pochissimi, come i Panda: vengono in mente Biraghi, Dybala, Vlahovic, a volte ci prova Lautaro, magari Luis Alberto. Ma la vita è grama: oggi, in Serie A, si sdegna solo dall’interno dell’area: è accaduto 76 volte sulle 113 reti finora segnate.
E dire che la punizione, o il calcio piazzato per dirlo con i nostri padri, ha dipinto quadri di fascino unico. Ricordate Claudio Branco? Era un brasiliano atipico, uno che oggi chiameremmo esterno alto, corsa e gran piede. Ma soprattutto un istinto unico per i calci di punizioni. Giocava nel Genoa, e quanto gli piaceva calciare le punizioni a Marassi: come tutti i grandi tiratori aveva scelto dei punti di riferimento visivo che gli consentivano di tracciare delle immaginarie linee nella sua testa. Così poteva permettersi di calciare il pallone con le “tre dita”, cioè colpendo la valvola del pallone di mezzo esterno, con la sfera che prendeva un effetto repentino a scendere, difficilissimo da leggere per i portieri. Qualcosa di molto simile a Roberto Carlos, spaventoso nelle sue esecuzioni, e ad Andrea Pirlo, che non a caso ha sdoganato la “maledetta”, traiettoria maligna e vincente.
Si calcia meno, si impara meno, ci si ubriaca di tattica, di partenza dal basso e di braccetti, ma chi calcia le punizioni ormai? Nessuno resta sul campo a provarci, a imparare, con buona pace di Sinisa. Senza allenamento non c’è progresso: di Platini, Maradona e Baggio ne nasce uno ogni era geologica. Michel le tirava ad arco, sopra la barriera, la palla tesa che finiva nell’angolo alto, i portieri lo sapevano ma non ci arrivavano. Diego le tirava in ogni modo, con ogni effetto, violenta o dolce, ed era sempre quasi gol. Roberto Baggio accarezzava la palla e seguiva gli spostamenti della barriera: sotto, sopra. Quella era poesia, sì, ma figlia dell’allenamento feroce. Oggi la punizione sembra quasi un fastidio, e finisce che la batte il meno peggio. E nessuno segna piùl
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