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Il bivio di Simone Inzaghi: cosa gli manca per la definitiva consacrazione

di Fabrizio Bocca
Il bivio di Simone Inzaghi: cosa gli manca per la definitiva consacrazione

L’allenatore dell’Inter e una vita sempre sul filo di giudizi e pressioni

18 settembre 2023
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La vita di Simone Inzaghi è un circolo continuo che ripassa sempre dallo stesso punto. Arriva un momento in cui tutti lo guardano e gli dicono: è ora di vincere.

E perfidamente gli mettono regolarmente in conto gli scudetti o addirittura le Champions League perse. Successe al primo anno di Inter, quando prese il posto di Antonio Conte e l’Inter effettivamente buttò via un capitale, perdendo il derby di ritorno e dando il via alla cavalcata del Milan; è successo anche un anno fa quando nessuno perdonava un campionato sotto le attese a differenza invece di una Champions esaltante. Lasciata solo a Guardiola e al City.

Quest’anno, non è ancora finito settembre, e le investiture per Inzaghi sono già tante. Forse troppe. Il quinto derby di seguito vinto contro Pioli, addirittura con tanto di umiliante “manita”, lascia l’Inter sola in testa alla classifica. Fossimo alla Milano-Sanremo, sarebbe come scattare in fuga prima ancora di Voghera. O crolli o fai l’impresa.

Beppe Marotta ha sentenziato: «Inzaghi è il nostro leader, con lui puntiamo alla seconda stella dell’Inter». Non sono parole al vento: all’allenatore, una decina di giorni fa, è stato ufficialmente prolungato il contratto fino al 2025 a 5,5 milioni netti a stagione, più i premi. Un’investitura in pompa magna, scettro e ricchezze. Considerato che cinque mesi fa, a metà aprile, dopo il ko in casa col Monza, c’erano pressioni enormi per esonerarlo, il ribaltone nei giudizi e nella considerazione è veramente totale.

E non è finita, la Fifa in questi giorni ha inserito i nomi di Inzaghi e Spalletti, come ex tecnico del Napoli campione d’Italia, nella lista ristretta del Best Fifa Football Awards. Insieme a loro, ovviamente Pep Guardiola, vincitore col City di Champions, Premier League e FA Cup, più Xavi allenatore del Barcellona che ha vinto la Liga, e Angelos Postecoglu, ex allenatore del Celtic ora al Tottenham. Non vincerà quel premio, Simone, ma intanto prestigio e credibilità internazionale stanno crescendo. Considerato anche che, a 47 anni, questa è la sua ottava stagione di campionato in panchina (più 7 partite a chiudere il 2015-2016): cinque complete con la Lazio, siamo alla terza con l’Inter. Bilancio: 3 Coppe Italia (2 con l’Inter) e 4 Supercoppe (2 e 2). Sarebbe il classico Re di Coppe se non fosse per la finale di Champions perduta.

Abbandonato il campo l’ex allenatore del Napoli per passare alla Nazionale, Simone Inzaghi può diventare adesso lo Spalletti di questa stagione. Raccoglierne il testimone e il ruolo: il bravo allenatore cioè che deve concretizzare la sua carriera con una vittoria di prestigio. Non ha certo lo stesso carattere, anzi, è del tutto l’opposto – Simone non è fumantino, non è aggressivo, caratterialmente è assai meno spigoloso e assai più smussature di angoli– ma è un allenatore comunque che cura moltissimo il rapporto col gruppo, è maniacale nei dettagli, è un fedelissimo dei suoi schemi (3-5-2), è ripetitivo nelle mosse.

Sostituzioni sistematiche, minutaggi, equilibri.

Esempio. Spalletti dalla Nazionale gli ha restituito un Frattesi trascinatore e uomo gol decisivo, utilizzato in coppia con Barella. Lui ha continuato a utilizzarlo come riserva di Barella, preferendogli Mkhtaryan che si è rivelato uomo chiave per la vittoria nel derby. Frattesi è entrato, come sempre, al posto del compagno di Nazionale. Andando a segnare un altro gol importante a San Siro. Cocciuto e convinto delle sue tesi insomma. Il risultato gli dà ragione, indubbiamente.

Inzaghi si è dovuto adattare alle acrobazie di mercato di Marotta, per motivi di bilancio l’Inter è una squadra in continua trasformazione. Oggi c’è Lukaku e domani sparisce, c’è Thuram, Oggi c’è Brozovic e domani Frattesi. Inzaghi convive serenamente con un instabile “day by day” che Conte invece rifiutò. Prima di farsi accettare lui come allenatore di rango ha dovuto penare e dimostrare più volte il suo valore. Lotito gli affidò la Lazio mentre lui era in autostrada e stava andando a Salerno: «Torna indietro Simone», gli disse. E lui lo ha ripagato, invertendo la strada sull’Inter quando aveva già promesso a Lotito di restare ancora alla Lazio. Quando è servito cioè non gli è mancato il pelo sullo stomaco. Tutto nella carriera di Simone avviene apparentemente per caso. O forse no. L’allenatore importante in famiglia doveva essere Pippo, grandissimo uomo gol, che ora aspetta la panchina dello Spezia. Da Simone invece tutti aspettano lo scudetto.

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