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L’INTERVISTA 

Un cuore di Fanna, tra Bentegodi e San Siro «Inter meriti lo scudetto, Il Verona mi piace»

LUCA TRONCHETTI
Un cuore di Fanna, tra Bentegodi e San Siro «Inter meriti lo scudetto, Il Verona mi piace»

L’ex ala delusa dal calcio di oggi. «Partite spezzettate dal Var, poca tecnica: allo stadio non vado e spengo la tv»

25 aprile 2021
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LUCA TRONCHETTI

Tifoso dell’Inter con il Verona nel cuore. Milano nerazzurra, quella del suo idolo Sandro Mazzola, è il sogno che diventa realtà, ma che si presenta assai diverso da quanto immagina e non riesce a vivere intensamente. Verona, invece, è una favola dal sapore antico come quelle dei monti al confine con lo Slovenia dov’è nato e si è formato imparando dalla strada la tecnica per addomesticare il pallone tanto che la città di Giuletta e Romeo è diventata casa sua e dove ancora, quando lo incontrano per strada, lo riconoscono e lo chiamano, a distanza di 35 anni, ancora “Turbo”. Lui è Pierino Fanna, 63 anni a giugno, portabandiera di un calcio libero, vero, genuino, lontano dalla rigidità degli schemi tattici che ingabbiano la fantasia in campo, uno dei quattro giocatori italiani del Dopoguerra (gli altri sono Sergio Gori, Aldo Serena e Attilio Lombardo) ad aver vinto tre scudetti in tre squadre differenti: Juventus (il più facile), Verona (il più incredibile) e Inter (il più sofferto).

DELUSO DAL CALCIO

«Allo stadio non vado più da tempo e da qualche anno guardo un quarto d’ora di partita e poi cambio canale. Il calcio non più piace più: il Var che spezza di continuo le partite, le tattiche esasperate, la scarsa tecnica individuale sono lontane anni luce da quello che era il mio mondo. Sì, il Verona di Juric lo vedo ogni tanto e non mi dispiace. L’Inter? La Juve ha toppato, il Milan ha fatto più di quanto ci si potesse attendere e la squadra di Conte, costruita per vincere lo scudetto, ne ha approfittato e riuscirà a tagliare il traguardo anche se con i gialloblù non sarà affatto una passeggiata». Si gode la famiglia Fanna – i due figli e i nipoti – e ricorda con nostalgia gli anni della sua gioventù quando non c’erano scuole calcio e procuratori. Si guadagnava bene, ma senza le cifre di oggi.

«Sono nato in un paesino di 100 anime: Clodig, dietro a Caporetto, nella valle del Natisone. Mio babbo Rino faceva il casaro e mia mamma Marta era cuoca. Campi di calcio non ce n’erano. C’era la natura: boschi, prati, ruscelli, animali. Sono nato libero con un pallone tra i piedi».

IO E LA TECNICA

«E ho imparato la tecnica di base riuscendo, tra sbucciature alle ginocchia e bernoccoli in testa, a controllare la sfera di cuoio, quella pesante marrone con i lacci cuciti a mano, nelle discese delle stradine bianche del borgo. A Coverciano, quando ho frequentato il corso allenatori, un professore di educazione fisica disse che le capacità di coordinazione si assimilano dai sei ai dodici anni. Niente di più vero: la mia infanzia è una palla che rotola e che mi portavo a letto, le nuotate nei fiumi gelidi, le corse a perdifiato nella natura». A dodici anni Fanna “emigra” a Moimacco tra Cividale del Friuli e Udine. I genitori aprono un ristorante che esiste ancora anche se è gestito da altri: “Tre pietre”. Il bimbo serve in tavola e viene tesserato nella squadra del paese formatasi per la prima volta e che disputa le gare in un campo a sette accanto all’asilo. I colori sociali sono verde e bianco e il numero è 10, quello di Mazzola.

L’UDINESE

Da Moimacco a Udine il passo è breve: «Mi aveva messo gli occhi addosso un mediatore che mi portò all’Udinese in serie C. Al club locale andarono le reti delle porte alcuni palloni e qualche centomila lire. Al Moretti mi allenavo due-tre volte alla settimana. Durò un anno».

Allìetà di quatordici anni ecco l’Atalanta. «Ricordo le raccomandazioni di mio babbo e i pianti della mamma. Andavo a Bergamo che per me era come andare a New York. Oggi a 14 anni si presentano sul campo con creste, orecchini e scarpette fosforescenti. Per me il massimo di quel periodo è stato quando il capitano della formazione orobica, GiampieroMarchetti, che aveva giocato nella Juve e in azzurro, mi lanciò gli scarpini dicendomi “ragazzino, sformami le scarpe”. Come se mi avessero regalato una Ferrari».

L’ATALANTA

A 19 anni Fanna è una pedina fondamentale per l’Atalanta e conquista la promozione in A. Su di lui mette gli occhi la Juventus che ha una corsia privilegiata con i bianconeri . «In un’amichevole tra un po' ci rimetto una caviglia. Vado via sulla destra a Gentile e lui mi molla una scarpata che mi ricordo ancora dal dolore. A fine partita negli spogliatoi arriva Tardelli che con una pacca con la spalla mi fa: “Non te la prendere, l’anno prossimo vieni da noi. Ti hanno comprato per un miliardo”. Cinque anni, tre scudetti e una Coppa Italia. Ma tante stagioni vissute da comprimario».

FRIZIONI COL TRAP

E lì entra in campo il rapporto con il Trap: «Non c’è mai stato feeling tra noi. Questione di mentalità. Lui vede l’ala destra come ruolo di copertura. Più come un centrocampista che un attaccante. Così non esprimevo il mio calcio libero. Non riuscivamo proprio a legare tanto che quando l’ho ritrovato all’Inter sono finito fuori rosa. Preferito ad Alessandro Bianchi, un mediano puro che giocava sulla fascia. Poi lui si è fatto male e mi hanno reintegrato. Prima partita in campo nel derby contro il Milan: mi hanno eletto miglior giocatore. E dire che per l’Inter ho rinunciato al Napoli di Maradona. Dopo lo scudetto di Verona mi voleva Allodi, ma io ho seguito passione e istinto e ho firmato per la Beneamata. Mi è andata male e ho perso anche la convocazione in azzurro ai mondiali del 1986».

BAGNOLI MAESTRO

Quando parla di Bagnoli invece gli occhi si illuminano: «Se con Trapattoni si giocava a non perdere, con lui si giocava a vincere. Con Liedholm è stato il tecnico più innovativo degli anni Ottanta. Voleva che con tre passaggi andassimo in porta e s’incazzava quando i difensori non salivano». Ricordo il Capodanno del 1984 quando una decina di noi passammo San Silvestro assieme alle nostre compagne in un ristorante del Cavalese. A mezzanotte feci alzare i calici per un brindisi che divenne il mantra dello scudetto: “O quest’anno o mai più». —

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