Un giornale nel cuore dei lettori: le 10 foto simbolo del nostro impegno, le sfide e i capisaldi
L'editoriale. I luoghi-simbolo del nostro impegno quotidiano al servizio dello sviluppo della Toscana costiera. Le sfide: infrastrutture, lavoro e giustizia sociale
Parlare al cuore dei lettori guardandoli negli occhi. È la cosa più bella che possa fare un quotidiano: esserci, andare a vedere, capire, spiegare, raccontare e, quando serve, commentare, aprire dibattiti. Pensando sempre a chi legge. Questo fa e questo è Il Tirreno, da 143 anni. Saranno 144 il prossimo 29 aprile: veniamo da lontano, dal 1877, e guardiamo avanti avendo come primo impegno la testimonianza per favorire la conoscenza come caposaldo di civiltà e democrazia.Oggi è un giorno molto particolare per noi, perché il cambio del direttore coincide con il passaggio a una nuova proprietà. L’ultima volta era stato nel 1978, quando Carlo Caracciolo, editore illuminato, portò questa gloriosa testata nel Gruppo Espresso alla fine di una perigliosa navigazione nella bufera di una minacciata chiusura decisa dal proprietario precedente, il petroliere Attilio Monti.
Due anni prima, avendo da sempre nel portafoglio e nel cuore anche il giornale concorrente, Monti aveva licenziato tutti i 209 dipendenti. E furono proprio i lavoratori, con i soldi delle liquidazioni, a salvare il giornale da morte certa. Alla loro testa, quando le cose stavano volgendo al peggio, si mise il sindaco comunista di Livorno Alì Nannipieri che, «per gravi necessità pubbliche», su mandato unanime del consiglio comunale, requisì redazione e stabilimento di stampa, minacciati da un decreto di sequestro del pretore. Quelle necessità pubbliche non erano altro che una sola parola: informare.
Oggi con le insegne della Sapere Aude Editori, con una redazione e un gruppo di lavoratori di grande qualità, ripartiamo idealmente da quel cambio epocale, per affermare con forza che oggi come allora informare è una necessità. Non senza aver rivolto prima un doveroso omaggio a Carlo Caracciolo, e a Mario Lenzi, direttore del Tirreno nella fase di rilancio e padre fondatore della catena di quotidiani locali del Gruppo Espresso.»
Lo facciamo tutti insieme unendo le forze con altri tre giornali che stanno dall’altra parte dell’Appennino (Gazzetta di Reggio, Gazzetta di Modena e la Nuova Ferrara) per dar vita a un Gruppo in grado di affrontare meglio la sfida della modernizzazione di un mestiere che si evolve e arricchisce le forme della comunicazione ma che non muta la sostanza della propria missione.
Sì, informare è una necessità. Lo è anche in un’epoca come questa contraddistinta da un oceano di false notizie, di tentazioni di “balconismo” («io parlo, tu suddito ascolta e non far domande») che interessa trasversalmente tutte le forze politiche.
E, in un mondo dove non ci si ferma mai perché il rumore di fondo dell’eccesso di stimoli rischia di farci smarrire la rotta, ecco che un giornale può, anzi deve, rappresentare una bussola nel mare della conoscenza, senza amici da proteggere e nemici da combattere a prescindere. Un giornale che è qui da 143 anni non può, non deve essere solo questo, deve essere orgoglio e promozione di un territorio come quello della Toscana costiera che purtroppo può contare solo sulle proprie forze e deve fare lo slalom ogni giorno fra promesse non mantenute e affabulatori dell’effimero in un clima da perenne campagna elettorale con i sondaggi a rappresentare un devastante oppio che brucia la ragione.
SERVIRE CHI È GOVERNATO
E dunque c’è un principio che va riaffermato con forza: la stampa serve chi è governato, non chi governa. Evitando il rischio che la corsa ad arrivare per primi senza verificare ciò che si scrive contribuisca alla disinformazione, che la corsa al clic provochi effetti nefasti sulla credibilità di chi fa questo mestiere. Diciamolo chiaro: non conta arrivare primi sulle piattaforme digitali, conta dire la verità. O quantomeno raccogliere tutte quelle informazioni che avvicinino la narrazione alla verità. Cercando di evitare effetti ansiogeni o pratiche sceriffistiche come quella di schiacciare la prospettiva di una foto e mostrare assembramenti anche dove non ci sono.
Stiamo vivendo un’epoca difficile e anche per questo sono ancora più delicate le responsabilità di chi per mestiere ha il dovere di informare puntualmente, evitando di aggiungere paure alle paure o togliere vigore all’impegno di ognuno nella lotta contro l’incubo Covid. Questo però non deve farci perdere di vista un orizzonte più ampio, oltre questa crisi anche economica. Ci sono un “durante” e un “dopo” da raccontare. C’è un mondo che non si ferma e merita di essere raccontato, testimonianza di continuità e faro che brilla di speranza.
COSTITUZIONE E ANTIFASCISMO
E qui entra in ballo questo giornale, chi ogni giorno lo confeziona e chi come me da oggi ha l’onore di esserne il direttore. È il giorno degli impegni, dell’illustrazione di un programma che per comodità potrebbe essere riassunto con una frase: andate a prendere la Costituzione della Repubblica italiana, ci sono tutti i principi che animano anche la vita di questo giornale. A partire da un caposaldo, l’Antifascismo. Perché è da quell’epoca buia che il Paese ha saputo trovare gli anticorpi per costruire un’esistenza pacifica e democratica basata sul rigoroso rispetto della legalità e dei diritti umani.
Oltre a questo c’è la nostra bussola, quella che indica la navigazione di ogni giorno, attraverso fatti da raccontare, inchieste da costruire con equilibrio e competenza. Questa bussola la lego a dieci immagini simbolo del nostro impegno, che avvolgono questo editoriale. Dieci simboli che non esauriscono ciò che ci sta a cuore ma che rappresentano un manifesto dell’imprescindibile. In un giorno in cui al Tirreno cambiano tante cose, è giusto consolidare gli impegni e prenderne di nuovi.
SANT’ANNA, LA MEMORIA
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La prima immagine della nostra bussola è quella di Sant’Anna di Stazzema, un teatro dell’orrore nella meraviglia dell’Alta Versilia, dove il 21 agosto del 1944 i soldati nazisti uccisero 560 persone (ma è solo la stima ufficiale, sono state purtroppo di più), in gran parte donne e bambini. Erano persone che si erano rifugiate lì per scampare alla guerra. Uccisi con la complicità di fascisti italiani, alcuni con la divisa tedesca e altri con abiti civili. Oggi Sant’Anna è un luogo della memoria, un monito per respingere ogni tentativo di restaurazione o di semplice riabilitazione del fascismo che non può essere considerato un’idea, perché è la promozione dell’odio, è l’oppressione delle fedi altrui.
PISA PRIMA DI PERETOLA
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La seconda foto è quella di un aeroporto, che è a Pisa ma è il luogo dove cominciano i voli di chi vive nella Toscana del mare. Il Galilei non è solo un’aerostazione: è un simbolo per una delle battaglie che questo giornale ha sempre condotto e che condurrà con ancora maggiore forza per la realizzazione delle infrastrutture fondamentali per uscire da uno stato di isolamento e di inferiorità. L’aeroporto è il simbolo di una sfida per fermare il tentativo di spostare ancor più di quanto non lo sia oggi l’asse delle scelte strategiche verso Firenze.
FERROVIE INADEGUATE
Da oltre mezzo secolo è in atto uno strisciante affossamento di questa parte di territorio che si completa con la colossale presa in giro sulla Darsena Europa, eterna promessa per il porto di Livorno. E con il mantenimento di linee ferroviarie arretrate, dove l’unica concessione è quella di qualche Frecciarossa che fa le stesse fermate di un Frecciabianca ma in compenso costa di più. Con il deprimente balletto di politici che vanno a farsi fotografare al passaggio della moderna diligenza spacciando per conquista ciò che è invece una colossale presa in giro. Proprio come l’autostrada fantasma fra Cecina e Tarquinia, unico irragionevole buco nella rete europea.
Un freno allo sviluppo fatto di promesse alle quali non è mai seguito un reale interesse a completare quest’opera che intralcerebbe lo sviluppo di molti altri interessi nati e cresciuti lontano da questi territori: dai proprietari dell’Autosole, che non vogliono perdere il privilegio di un’esclusiva per i traffici andata e ritorno fra Nord e Sud a quella Firenze che guarda a questi territori come esclusivi scenari delle case al mare in tono granducale. Fino alla lobby radical chic di Capalbio e ai governi nazionali. La prima ha messo in piedi un fastidioso balletto di veti e manovre tesi a ostacolare ogni progetto legato all’autostrada per un pretestuoso diritto di quieto vivere intorno alle proprie case al mare; i secondi un’altra danza macabra fra progetti uno peggio dell’altro, funzionali solo a interessi di altre lobby. Con il risultato di lasciare questo territorio nel sottosviluppo e di mettere in fila troppi lutti, centinaia e centinaia di vittime su una strada che in alcuni tratti è rimasta quella del film “Il sorpasso”, roba di 58 anni fa.
LA STRADA CHE UCCIDE
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Nella terza foto c’è l’immagine dello schianto che il 18 dicembre 2017 a Capalbio ha provocato la morte del senatore Altero Matteoli, già ministro nei governi di Silvio Berlusconi. Nel 1985 era uscito malconcio da un altro incidente sulla Tirrenica ed era stato fra i più attivi nel cercare di oltrepassare il muro di gomma che negli opposti schieramenti ha frenato le reali intenzioni di porre fine a questa vergogna che ci ha regalato anche la beffa di due gabelle (60 e 80 centesimi) a Vada e a Tarquinia. Un ingiusto pedaggio per due tratti che simboleggiano una colossale e inaccettabile presa in giro per chi vive sulla costa tirrenica. Una terra che, per fortuna, conosce ancora il valore del rifiuto alla resa.
IL VALORE DEL LAVORO
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Le foto numero 4 e numero 5 sono legate tra loro: una ci racconta una storia di morte; l’altra una fra le peggiori vicende di degrado legate alla sottovalutazione degli effetti di quel disgraziatissimo slogan tanto in voga negli anni del boom del secolo scorso: “dove c’è fumo c’è pane”. La prima immagine è stata scattata il 15 aprile 2016 nella cava Antonioli di Colonnata, teatro di una fra le tante, troppe, tragedie del lavoro. Siamo nel cuore dell’industria del marmo, che dispensa ricchezza e dolore. Una tragedia, da riportare alla memoria in un Paese dai ricordi labili, che tende all’assuefazione, che piange il giorno del funerale e poi va avanti come se niente fosse. Federico Benedetti e Roberto Ricci Antonioli quel giorno erano andati a lavorare e non sono mai tornati a casa, perché travolti da una frana. Non un caso isolato e non solo nelle cave di marmo: è passato il principio che il concetto di sicurezza rasenta l’utopia. E a questo non possiamo arrenderci: dalla fine del “tutto chiuso per virus” allo scorso agosto in Italia sono morte 142 persone sul lavoro, in un anno sono quasi mille. Le chiamano morti bianche perché c’è sempre un lenzuolo lindo a coprire un corpo martoriato ma dovremmo definirle morti inaccettabili, nere come la coscienza di chi si volta dall’altra parte.
E non possiamo arrenderci neanche di fronte a panorami di desolazione e ruggine che hanno preso il posto quelli di fumi tossici e nocivi: la quinta foto è stata scattata a ridosso del rudere dell’altoforno delle Acciaierie di Piombino, spento il 24 aprile del 2014, giorno simbolo della fine di un’epoca, quella della monocultura industriale dell’acciaio per la quale un intero territorio è stato costretto a ritardare la ricerca di alternative. Il lascito è una vasta area a ridosso della città piena di veleni sopra e sotto il suolo, vicina a una discarica di rifiuti industriali messa lì per far soldi ed evitare di alzare le tasse locali. Propaganda elettorale sulla pelle dei cittadini. Il territorio piombinese violentato dall’industria e poi impunemente abbandonato è il simbolo di una malapolitica ventennale, un luogo aggrappato ai sussidi e alla rabbia di chi ha paura di non farcela che si sfoga contro chi non ce la fa da tempo. Sono nato e cresciuto in quella città e oggi non la riconosco più: ora l’aria è pulita ma ci sono troppi occhi spenti, volti tristi, quelli di chi non sempre si rende conto di essere poco più che carne da urne elettorali. Piombino è solo la punta dell’iceberg di tante aree di crisi con colpe diffuse. Un luogo, purtroppo non l’unico, prigioniero del passato. La storia recente della Sicmi Sea Style, azienda che occupa 120 dipendenti nella realizzazioni degli scafi per i megayacht, è emblematica. Il titolare, stufo della burocratija locale che si aggiunge a quella generale, minaccia di andarsene e con una frase amara dice tutto: «Tenetevi l’acciaio». Non saper guardare avanti è purtroppo un male diffuso. Contribuire a estirparlo per noi è e sarà un impegno primario.
LA BELLEZZA DA SFRUTTARE
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Anche per questo con le ultime immagini della nostra bussola proviamo a regalarci un po’ di speranza. La numero 6 ci offre una delle meraviglie del mondo, la piazza dei Miracoli a Pisa. È il capoluogo della Grande Bellezza in una terra come la nostra che ha tanti tesori su cui costruire un futuro anche turistico oltre lo sfruttamento intensivo delle spiagge. A lungo cultura, turismo ed enogastronomia, sono stati visti come un “di più”. Nulla di più sbagliato: tutto ciò è un tesoro.
LE PICCOLE COMUNITÀ
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Anche le foto 7 e 8 sono legate fra loro. La prima è stata scattata a Sassetta, il comune con meno abitanti della Toscana continentale (503) subito dopo quello dell’isola di Capraia (412, seconda immagine). Quando pensiamo di parlare al cuore dei lettori guardiamo anche e soprattutto ai centri più piccoli, quelli lontani dai grandi flussi, quelli ignorati dalla politica se non in tempi di campagne elettorali. Quelli dove l’ultima istanza è chiamare “quelli del giornale”. L’informazione è una necessità sempre e lo è ancora di più quando affonda nei territori, diventa come l’aria.
IL VALORE DELLA SOLIDARIETÀ
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La foto numero 9 è quella di un muro, un muro fatto di lettere che spuntano all’ultima curva di uno slalom fra la vita e la morte. In tanti ospedali sono appese dietro le porte, mai ostentate. Queste sono state fotografate nel luglio del 2018 in un reparto rianimazione, quello di Cisanello a Pisa. Messaggi che medici e infermieri non amano ostentare, quelli con le parole stupende di chi ce l’ha fatta o dei parenti di chi se ne è andato.
Quelli come questo sono muri fatti di amore che si contrappongono a quelli tirati su per odio, quello della continua ricerca di un “untore”: che sia l’anziano che da anni si gode una bella pensione e che se la sia sudata e “pagata” spesso conta zero. A troppi dà fastidio, come dà fastidio chi ha lo stipendio garantito e in tempi di Covid ha avuto il “privilegio” di continuare a lavorare, guardato con sospetto da chi deve elemosinare un sussidio. Il muro della riconoscenza ha il compito di ricordarci di non smarrire la ragionevolezza, di non accettare la logica delle guerra dei terzultimi e dei penultimi contro gli ultimi. Di prendere le distanze da chi guarda ancora di traverso donne e uomini che fanno del rispetto della parità di genere una ragione di vita.
Quel muro ha anche il compito di farci apprezzare l’immenso lavoro che sta dietro a ciò che per molti è solo sport e che invece rappresenta un solido tessuto sociale che produce salute, sana vita di comunità, educazione e rispetto delle regole. Le migliaia di persone che tirano avanti con puro spirito di volontariato le società dilettantistiche e amatoriali di ogni disciplina per noi vengono prima, molto prima, dei milionari del pallone.
Anche la decima foto, quella che ricorda la solidarietà, va in questa direzione. I nuovi poveri sono in aumento e purtroppo anche l’indifferenza. Molti riescono a farcela grazie alla capillare opera di Misercordia, Pubblica Assistenza, Croce Rossa, Caritas e altre organizzazioni di volontari che regalano quegli abbracci concreti che impediscono, per ora, di scivolare nel baratro della barbarie.
Papa Francesco lo ha spiegato bene appena due mesi fa: «Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva: la povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il pianeta».
Il Tirreno è e sarà tutto questo. Grazie a chi vorrà essere con noi.
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Un grande abbraccio lo devo a Fabrizio Brancoli che fino a ieri è stato al timone di questo giornale con passione e competenza. Conosco la sofferenza dell’abbandono forzato di posti che si sono amati e sono certo che presto tornerà con la consueta perizia a pilotare un altro glorioso vascello. Buon vento Fabrizio, e grazie per le belle parole.