Invasi dall’olio congelato
Sbarcato a Livorno, mischiato con quello locale e venduto a pochi euro. Ecco cosa c'è nelle cisterne che escono dal porto e qual è la rotta dei vari "extravergine" dalla Tunisia fino alla Toscana
«Boia! Questa è colma!»: non riesce a trattenere la tipica esclamazione livornese l’uomo che apre il portello dell’autobotte mostrando una poltiglia giallastra e semicongelata il cui aspetto è ben poco rassicurante: sembra tinta, o mastice, il colore è quello della senape. In realtà è olio: un impasto dal quale usciranno fuori bottiglie di extravergine che finiranno sugli scaffali dei supermercati di tutta Italia.
Il miracolo non passa da Lourdes ma dal porto di Livorno, una delle porte principali per l’ingresso dell’olio in Italia: qui arrivano le navi cariche di prodotto dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Tunisia, dal Marocco, con Genova in secondo piano per questo tipo di trasporti e Brindisi, Bari e Ancona che li ricevono soprattutto dalla Grecia. Qui, qualche giorno fa, è arrivato l’Eurocargo Palermo che, come è stato riferito nel servizio andato in onda a “La Gabbia” su La7, è stato in grado di riempire fino all’orlo almeno un centinaio di autobotti, poi partite in direzione di oleifici della zona di Firenze. Quel “boia”, rivolto al carico giallastro e che si può riascoltare in questo filmato:
Invasi dall’olio straniero. Un tipo di commercio che è sempre esistito, ma rinforzato dal crollo della produzione che hanno dovuto sopportare in questa stagione l’Italia e la stessa Toscana, con il contemporaneo aumento della possibilità di eventuali frodi. L’olio arrivato a Livorno è stato infatti al centro di un controllo dell’Ispettorato antifrode del ministero dell’Agricoltura che sui fogli di accompagnamento ha trovato un percorso a dir poco curioso: partenza dalla Tunisia, contributo dal Portogallo dove è stato mescolato con olio locale e poi, molto probabilmente via Valencia, è arrivato in Toscana. Contribuendo così all’invasione del mercato, visto che, come conferma Rocco Burdo, direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, si parla di acquisti per 632 milioni di chili nell’Unione Europea, con il novanta per cento di provenienza spagnola, almeno ufficialmente. Al di fuori dell’Ue, sempre secondo i dati che ci ha fornito l’Agenzia, dominano invece paesi come la Tunisia, il Marocco, il Perù e il Cile.
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Extravergine globetrotter. Ma quello che impressiona sono i “giri” a cui viene sottoposto il prodotto prima di arrivare nei punti di vendita e sulle nostre tavole. Una situazione che abbiamo cercato di ricostruire (vedi anche la grafica) con l’aiuto del referente del Corpo Forestale dello Stato che si occupa delle attività investigative per contrastare il fenomeno della contraffazione alimentare. «Il problema - viene spiegato - è legato all’appeal che esercita l’extravergine italiano che è decisamente più alto di quello tunisino o greco, anche se magari si tratta di buoni prodotti. Sull’etichetta, in base al decreto legislativo numero 109 del 1992, deve essere indicata chiaramente la provenienza o citando lo Stato, oppure se arriva da un paese dell’Unione Europea o da qualche parte al di fuori dell’Ue. Una volta nel porto di arrivo, entra in funzione l’Agenzia delle dogane che controlla i documenti di accompagnamento e poi dà il via libera all’ingresso in Italia e al successivo trasporto». E a questo punto che scattano i controlli sulle autobotti destinate a aziende che poi hanno l’obbligo di registrare il prodotto, sia in entrata che in uscita dopo la lavorazione, presso il Sian, il Servizio informatico agricolo nazionale. «Ma in un quadro in cui tante aziende operano onestamente - proseguono dalla Forestale - c’è chi ha meno scrupoli. E ben poco possiamo fare se i documenti certificano l’origine italiana del prodotto: basta che corrisponde all’etichetta e, in caso contrario, quello che si rischia è soltanto una sanzione per un errore formale che poi tanto formale non è. Diverso è invece lo “spaccio” di un olio straniero come italiano o addirittura toscano, situazione in cui si deve invece parlere di una vera e propria frode, con conseguenze penali molto diverse».
Il caso toscano. Come ulteriore problema, per chi opera nella regione, c’è il fascino particolare esercitato dalla regione che, come spiega Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio per la tutela dell’olio extravergine toscano Igp (ne parliamo anche a parte), sta portando molte aziende a “inseguire” una ragione sociale con domicilio appunto nella regione. «L’unica strada è quella di stare attenti all’etichetta - conclude - la sola cosa che garantisce origine, ma anche la qualità. Purtroppo, per i problemi portati dalla mosca olearia e dal clima, la produzione è calata del 70-80 per cento, ma un buon indice di sicurezza è anche il prezzo: ci vogliono almeno 8-10 euro per una bottiglia di olio toscano da mezzo litro, dai 10 ai 12 per la confezione da 0,75. Al di sotto si rischia il prodotto taroccato».