Saviano a Prato, il coraggio e la paura: standing ovation al Politeama
Lo scrittore sotto scorta ha aperto il festival “Seminare Idee” insieme a Sandro Veronesi
PRATO. Un teatro Politeama al completo ha salutato l’inizio della prima edizione del “Seminare Idee Festival” e il dialogo tra Sandro Veronesi e Roberto Saviano, i primi ospiti della tre giorni di approfondimento culturale voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio Città di Prato e dal Comune. Applausi a scena aperta per lo scrittore e giornalista campano che da vent’anni vive sotto scorta.
Prato osa
Inaugurati gli addobbi vegetali nei chiassini del centro storico, montati gli stand che occuperanno per tutto il fine settimana piazza delle Carceri e piazza San Domenico, il Festival Seminare Idee comincia da via Garibaldi e dalla lunga fila di persone che fin quasi da piazza Duomo attende l’apertura del teatro Politeama. È la coda degli appassionati di letteratura, degli amanti di Saviano e di Veronesi, e anche di chi per nessuna cosa al mondo si perderebbe l’inizio di un evento che rende «Prato protagonista» a livello nazionale, come ha ricordato la sindaca Bugetti in apertura, e che «ha l’ambizione di diventare un appuntamento fisso». Mentre la presidente della Fondazione Cassa di Risparmio Diana Toccafondi salutava la platea ricordando che il senso di comunità serve a «lottare contro la deumanizzazione e la decivilizzazione» che ci circonda, la sindaca spiegava che «non dobbiamo temere di affrontare le sfide della contemporaneità» e che «Prato osa, e lo farà sempre». Alle 18,30, dopo i saluti delle direttrici artistiche Annalisa Fattori e Paola Nobile, il festival è stato dichiarato aperto ufficialmente. Un momento sottolineato dall’apertura della cupola del Nervi, che ha permesso alla luce e all’aria di riversarsi sulla platea in attesa da più di un’ora.
Una storia salvata
«Questo è l’applauso che la mia città riserva a questo ragazzo e a quelli che lo proteggono» ha detto Sandro Veronesi, non senza una certa commozione, commentando la platea alzatasi in piedi a salutare l’ingresso Roberto Saviano. È cominciato così “Nessuna bilancia pesa il coraggio”, l’attesi incontro d’apertura del Seminare Idee Festival. Si potrebbe stare ore ad ascoltare lo scrittore e giornalista campano che racconta storie assurde e terribili di cosche e di mafiosi, di agguati e di faide descrivendone in dettaglio le dinamiche e decifrandone gesti e significati a beneficio degli ignari. E questo ha fatto il pubblico del Politeama con la storia dell’amore di Rossella Casini per il rampollo di una famiglia legata a una ’ndrina calabrese alla base del suo ultimo libro. “L’amore mio non muore”, questo il titolo, è un romanzo che racconta la storia vera, ricostruita attraverso le carte processuali, di una ventenne fiorentina che alla fine degli anni ’70 s’innamora di un coetaneo calabrese e che difende fino in fondo questo amore e la possibilità della felicità che racchiude. Perché l’innamorato studente fuorisede è il rampollo di una ’ndrina e a un certo punto, proprio mentre sta per rientrare in Toscana, Rossella Casini scompare e il suo corpo non verrà mai trovato. Niente proiettili però, perché se l’avessero ammazzata questo «avrebbe fatto dire che si erano fatti spaventare da una ragazzina», ha spiegato l’autore. «Una storia sconosciuta che si è salvata grazie all’azione di Libera, decisa a commemorare le donne che hanno lottato contro la mafia e sono morte – ha aggiunto Saviano – Una storia che mi ha spiazzato, una storia sull’amore come chiave per leggere la realtà e vivere le persone», in cui, ha aggiunto, «Mi sono confrontato con il sentimento».
La paura e l’infelicità
E a proposito di confronto, Sandro Veronesi ha chiuso l’incontro con una domanda capitale sulla paura e sul senso della paura, e Saviano non si è tirato indietro. Ha raccontato di come all’inizio «la scelta della scrittura, che è ambizione» gli ha permesso di affrontare la paura «perché mi ascoltano». E poi ha raccontato la maturazione della consapevolezza che la sua vita non sarebbe più stata la stessa. La prima convocazione in caserma, la lettera anonima che ha innescato tutto, l’incontro con il boss Schiavone per parlare di chi lo voleva morto, l’invito a “mettere a posto le cose” (fare testamento), i problemi vissuti dalla sua famiglia e il processo che prosegue da sedici anni, in cui «siamo invecchiati insieme». «La paura non l’ho ascoltata ma bisognerebbe ascoltarla sempre – ha detto Saviano – La paura mi avrebbe aiutato a gestire meglio le cose». Per poi chiudere citando Vonnegut e il suo “Quando sei felice facci caso”. «Io non ci ho fatto caso ma poi ho capito cos’è l’infelicità. E forse quella forza mi è mancata – ha concluso – quella di andare a riprendermi la vita che mi hanno tolto».