Il Tirreno

Prato

Il caso

Prato, la compagna dell’arrestato: «Mio marito non è un camorrista»

di Paolo Nencioni

	I militari del Gico della Finanza che hanno condotto le indagini
I militari del Gico della Finanza che hanno condotto le indagini

Antonio Sarno è finito in carcere insieme ai parenti. Lo sfogo: «Ma lui non è come suo padre»

3 MINUTI DI LETTURA





PRATO. «Mi chiamo Bornia Hathroubi, sono a nata a Napoli il 23 dicembre 1985 e sono compagna di Antonio Sarno, nato a Napoli il 30 giugno 1978».

Inizia così lo sfogo della compagna di Antonio Sarno, arrestato martedì 20 maggio nell’ambito di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze con l’accusa di associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso, in particolare camorristico (avrebbe messo a disposizione un autonoleggio di via Valentini per la riscossione di certe tangenti).

Ora la compagna di Antonio, che nell’ambiente si fa chiamare “o’ Tartaro”, giura che lui non è fatto della stessa pasta degli altri, cioè del padre Ciro, un boss di una certa importanza nel clan Sarno tra gli anni Ottanta e Novanta, o degli zii Vincenzo e Pasquale, anche loro finiti in carcere insieme al loro cugino Giuseppe.

«Con questa dichiarazione – scrive la compagna di Antonio Sarno – vorrei tutelare me e i miei figli, sento il bisogno di dare voce alla mia rabbia, non l’ho mai fatto, sono sempre stata vista come bella e buona ma essere belli e buoni non significa subire ingiustizie, ingiustizie che adesso sono piombate sulla mia famiglia, e come mia famiglia intendo solo me, i miei figli e i figli di mio marito avuti dal suo precedente matrimonio».

Il peso del cognome

«Mio marito – aggiunge Bornia Hathroubi – ha un cognome che è sempre stato un peso per noi. Adesso ci troviamo a pagarne le conseguenze senza motivo. Conosco Antonio Sarno dal 2005 e so quanto ha lottato per affrancarsi dalla sua famiglia ed essere un uomo onesto. Per questo ho la certezza che intorno a lui c’è solo accanimento per chi come lui ha deciso di essere sempre estraneo e dissociarsi da anni da fatti, misfatti e scelte che avvengono in questa famiglia ma a quanto pare non basta! Viviamo da 14 anni a Prato e abbiamo sempre condotto una vita in totale serenità e nel rispetto delle regole. Oggi non permetto a nessuno di far vivere un trauma ai miei figli di 14 e 9 anni che non sanno neanche l’esistenza di queste vicende né tanto meno hanno mai saputo chi fosse il nonno e la famiglia del padre. Motivo per cui non posso accettare che venga descritto il padre dei miei figli come un associato alla camorra. Parlo di fatti e non parole visto che a fronte di processi eseguiti in precedenza sempre per conto della famiglia è stato indagato ingiustamente ma mai condannato e al termine dei processi è stato sempre assolto. Spero che quanto prima possa emergere a fronte della posizione di una vittima (mio marito) la verità. Questo mio sfogo è un fiume in piena, me ne rendo conto, perché siamo sempre stati dissociati da questa famiglia e da ogni loro scelta. Oggi ho da proteggere me, mio marito e i miei figli che hanno condotto una vita normale fino a prima di questa orrenda notizia, perché ad oggi psicologicamente sono distrutti per l’assenza del padre e per tutte le curiosità e domande che gli stanno facendo. Per quanto riguarda mio marito confido nella sua innocenza che di sicuro emergerà». Nelle carte dell’inchiesta si trova una parziale conferma dei contrasti tra Antonio Sarno e il padre Ciro, quando quest’ultimo, intercettato, si arrabbia per le rimostranze del figlio sui suoi metodi e sbotta: «Sono tornato a fare il camorrista! Qualche problema? Sono tornato a fare il camorrista e lo faccio dove voglio e dove dico io! Chiuditi nel cesso! Hai capito?». 

Flash di cronaca

Mondo

Morta Laura Dahlmeier: dopo ore di ricerche trovata senza vita la campionessa olimpica, la tragedia a 5.700 metri

Estate