Fondazione per l'omicida, lo sfogo del padre dopo 7 anni: «Progetto legittimo, a chi ha scelto il fango rispondo con i fatti»
Prato, parla Maurizio Zini: il figlio Federico sparò all’ex fidanzata Elisa Amato nel 2018
PRATO. “Dopo anni di doloroso silenzio, ho deciso di parlare per fare chiarezza”. Comincia così un lungo sfogo di Maurizio Zini, padre di Federico, il giovane di San Miniato che il 26 maggio 2018 uccise a colpi di pistola l’ex fidanzata Elisa Amato, 30 anni, di Prato, prima di togliersi la vita con la stessa arma. Maurizio Zini ha deciso di dire la sua dieci giorni dopo le polemiche suscitate dalla decisione del Tribunale amministrativo regionale che ha accolto il suo ricorso contro il diniego opposto dalla Regione all’iscrizione nel Registro del terzo settore di una fondazione che in origine portava il nome del figlio e che ora si chiama “Un abbraccio per un sorriso”.
Una decisione, quella della famiglia Zini, che già all’epoca suscitò le proteste dei familiari e degli amici di Elisa Amato e che adesso ha indotto la sorella della vittima, Elena, a dire che la famiglia Zini, come Federico, «non accetta il rifiuto».
Maurizio Zini però spiega che l’idea della fondazione era nata qualche mese prima dell’omicidio. Già dal 2016, spiega, il figlio Federico iniziò a occuparsi dei piccoli pazienti dei reparti oncologici e nel gennaio 2018 si rivolse a un commercialista per trasformare una rete solidale in una vera e propria fondazione, la cui creazione fu rimandata al luglio di quell’anno. Ma il 26 maggio, come detto, Federico sparò a Elisa. «Dopo la tragedia – scrive Maurizio Zini – Noi familiari ed amici, abbiamo deciso, con dolore ma anche con determinazione, di portare avanti quel percorso: quello che mio figlio, stava già facendo dall’anno 2016, ovvero costituire una Fondazione per sostenere la ricerca su patologie infantili, e destinare il ricavato a enti e associazioni, che operano nel campo dell’assistenza ai minori gravemente malati e alle loro famiglie. All’interno dell’oggetto sociale della Fondazione, era stato inoltre inserito il tema della violenza di genere, in modo tale da poter aderire o collaborare, laddove possibile, ad iniziative promosse da terzi in quell’ambito».
Nel 2019, sull’onda delle proteste di chi si opponeva a una fondazione in memoria di un omicida, la Regione negò l’iscrizione al registro e successivamente i familiari di Federico hanno tolto il nome del figlio da quello della fondazione. Maurizio Zini, sulla scorta dell’ultima sentenza del Tar, sostiene che il controllo di legalità sostanziale e la verifica delle condizioni previste dalla legge per creare la fondazione spettano esclusivamente al notaio e la Regione doveva fare solo la regolarità formale della domanda di iscrizione al Registro del terzo settore. «Respingo con forza le totali insinuazioni, le menzogne, le strumentalizzazioni, le ricostruzioni alterate e le manipolazioni – scrive ancora Zini – che, per sette lunghi anni, sono state diffuse e pubblicate su questa Fondazione, con chiaro intento denigratorio. Esse colpiscono ed infangano non solo la mia persona, ma mortificano l’impegno limpido, appassionato e silenzioso, di decine di persone, che con dedizione e rispetto, hanno lavorato e collaborato con serietà, per costruire un progetto di prevenzione e solidarietà». E ancora: «A chi ha scelto il fango, rispondo con i fatti. A chi continua a colpire, rispondo con la forza di un progetto che non si fermerà, che proseguirà legittimamente, più forte che mai. Da un grande dolore può nascere un bene reale».