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Prato

L’appello

La Pasqua e i dazi, il vescovo di Prato chiede senso di responsabilità


	Il vescovo Giovanni Nerbini durante la Via Crucis all'ospedale
Il vescovo Giovanni Nerbini durante la Via Crucis all'ospedale

Nel tradizionale messaggio di auguri di monsignor Nerbini un riferimento a Trump. E un monito: «Che cosa è rimasto degli slogan “Ce la faremo insieme” durante il Covid?»

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PRATO. La Pasqua, i dazi di Trump, la necessità di ritrovare il senso di responsabilità. Il tradizionale messaggio di auguri del vescovo Giovanni Nerbini pesca nell’attualità, anche se non fa riferimento alla guerra in corso nella comunità cinese di Prato.

«In queste settimane – scrive il vescovo – conseguentemente alle decisioni del presidente degli Stati Uniti sui dazi, si è diffusa una grande incertezza e preoccupazione che non investe soltanto i mercati mondiali, ma anche i singoli cittadini allarmati dalle possibili conseguenze economiche e dalla marcata tensione tra gli stati che aumenta il pericolo di conflitti sempre più ad alto rischio. In questo panorama si è levata la voce nuova degli economisti della “new economy of Francesco” che senza allarmismi, ma con chiarezza, hanno elaborato una analisi lucida della situazione attuale evidenziando le criticità ma soprattutto avanzando sei proposte interessanti. L’assunto di fondo è che il mondo è davvero cambiato e che la vecchia logica che dominava i rapporti tra gli stati sintetizzata in una frase di Tucidide, storico ateniese del V e IV secolo prima di Cristo: “I forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono” non è più possibile».

«Si parla piuttosto di una “responsabilità” che tutti, singoli e sistemi abbiamo e dobbiamo esercitare alla ricerca del bene comune universale – aggiunge monsignor Nerbini – Non sono chiacchiere, ma proposte serie che interpellano tutti. Ancora una volta siamo chiamati a reagire positivamente ad una crisi (ricordiamo che il termine esprime anche nuove opportunità di vita) che è soltanto diversa da quella da poco superata e che pone un interrogativo aperto ed incerto: “Sapremo attivarci e svolgere ciascuno il proprio compito?”». Le premesse non sono incoraggianti. «Se ripenso all’epidemia da Covid – ricorda Nerbini – rimango molto perplesso. Cosa è rimasto dei bellissimi slogan di allora? “Non ci si salva da soli!”, «Ce la faremo insieme!». La liturgia cattolica del giovedì santo, primo giorno del triduo pasquale, ripresenta ogni anno un gesto di straordinario valore: la lavanda dei piedi compiuta da Gesù nei confronti dei discepoli. Per un credente è un gesto di forte impatto ed efficacia che ricorda come ci si pone di fronte agli altri. Ma ha una forte valenza “laica” perché, in chiave simbolica, richiama un dato presente nell’esperienza di ciascuno. È il criterio che governa la vita famigliare nella quale ciascuno contribuisce per quello che può al bene comune e tutti insieme ci si prende cura del più piccolo e del più debole. La Pasqua è Gesù che ci mostra e dona il bene insuperabile della vita nuova e dell’amore di Dio, ma ci richiama anche ad un ruolo attivo di partecipazione convinta e appunto responsabile. E lo Spirito che ci è dato ci rende capaci di nuove logiche. La società ci invita ad essere soltanto consumatori insaziabili; la nostra appartenenza al genere umano ci domanda piuttosto di essere amministratori intelligenti ed entusiasti dei beni comuni a tutti. E se la fragilità dell’uomo a volte si è concentrata nella distruzione e nella dilapidazione dei beni e delle risorse umani e naturali, l’appello di Dio ci spinge ad aprirci ad una possibile risurrezione. Lui è vivo in mezzo a noi. Non c’è errore che non possa essere corretto, morte che non possa aprirsi alla vita». 

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