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Caso Pecci, i sindacati chiedono il reintegro dei lavoratori licenziati: «Grave arretramento nei diritti»

Il Pecci
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I licenziamenti, senza alcun confronto, sono «antisindacali». I dipendenti con un documento esprimono solidarietà ai colleghi e puntano il dito contro la governance

31 agosto 2023
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PRATO. Il reintegro. Solo e nient’altro che il reintegro. Non ci sono spazi di mediazione per i sindacati della funzione Pubblica di Cgil e di Uil per il caso dei due licenziamenti al Pecci avvenuti «dalla mattina alla sera, senza alcuna condivisione con le rappresentanze». «Un atteggiamento mai visto nel pubblico. Inaccettabile», dicono in coro Alessio Bettini e Patrizia Pini. E pericoloso. «Perché se un ente pubblico si comporta così, senza rispetto delle procedure, cosa può accadere nel privato? È per questo che non si tratta solo del caso di due persone e del Pecci ma di un problema che coinvolge tutto il sistema. Il reintegro è una battaglia di civiltà per il distretto», aggiunge Bettini.

La mobilitazione

I due licenziamenti sono avvenuti per «motivi economici» per «le minori contribuzioni arrivate al museo e per l’aumento dei costi energetici». «Siamo stati esclusi da qualsiasi interlocuzione - aggiungono – e si raffigura in modo netto la condotta antisindacale non essendosi tenuta la riunione di confronto e contrattazione in caso di ristrutturazione. Nessuno può permettersi in questa città di fare come vuole regredendo sul tema dei diritti». I sindacati hanno convocato l’assemblea con i lavoratori per il 4 con l’obiettivo di proclamare lo stato di agitazione e quindi organizzare presidi nella settimana della festa della Madonna a Prato. Al momento non è stata presentata in tribunale l’istanza per comportamento antisindacale solo per «lasciare aperto uno spazio di contrattazione».

Le contestazioni

Una perdita in bilancio di 340mila euro e, per “rimediare”, un risparmio cercato andando a colpire i più deboli senza considerare la gestione, non priva di errori. «Abbiamo delle domande che avremmo voluto fare al presidente del cda Lorenzo Bini Smaghi se ci avesse incontrati. Era possibile fare altri risparmi anziché tagliare due stipendi? A inizio 2022 sono stati pagati due direttori che si sono sovrapposti per tre mesi, Stefano Collicelli Cagol come dipendente e l’ex Cristina Perrella. Con Perrella come si è chiuso il rapporto? Quanto è stata pagata l’ex direttrice dopo il licenziamento? Questa cifra quando ha contribuito alla perdita? A noi risulta che un risparmio sul personale dipendente di 100mila euro ci fosse già stato con dei prepensionamenti». Ma non solo. Patrizia Pini mette il dito anche su consulenze e collaborazioni. «Nel preventivo del 2023 se ne calcolano per un importo di circa 142.083 a cui va aggiunto quello del segretario generale per 59mila euro».


Il documento

I colleghi del Pecci hanno già inviato un documento di solidarietà esprimendo «una forte preoccupazione e rammarico per la gestione del Pecci le cui difficoltà economiche possono ancora essere affrontate attraverso una visione condivisa che non si fermi a soluzioni di breve respiro, di concerto con le istituzioni e le rappresentanze sindacali e non utimo il personale».Poche righe in cui non si risparmia la gestione per una «governance formalmente responsabile del disavanzo di bilancio, che dimostra di non voler valorizzare le professionalità già presenti nel museo». I dipendenti chiedono inoltre a Regione e Comune di esercitare il ruolo di controllo e di indirizzo.

Non solo numeri

Il caso Pecci è la punta più acuminata di un iceberg di associazioni, fondazioni, teatri (Maggio, Uffizi solo per citarne due) che per motivi economici hanno visto rischiare il posto ai propri lavoratori o comunque ipotizzare l’arretramento dei diritti di chi è in appalto. E che mette quindi al centro del dibattito quanto e come la cultura possa realmente avere bilanci in pari. «Il caso Pecci deve aprire una discussione sulla cultura nel nostro Paese sulla effettiva valorizzazione dei nostri beni più preziosi», concludono i sindacalisti.
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