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Prato, il salumificio di paese vende a Hong Kong e inventa il “Magro”

di Irene Arquint
Prato, il salumificio di paese vende a Hong Kong e inventa il “Magro”

Il nuovo salame di Mannori conquista Taste

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PRATO. Oltre settant’anni per costruire un impero basato sulle bontà del maiale, fino a realizzare un salame amico della linea. Perché il mondo è cambiato e il nostro fisico non necessita più di energie in eccesso. Così, l’ultimo dei prodotti dello storico salumificio Mannori si chiama Magro e contiene solo il 10% di grasso.

Un’eresia penseranno i puristi, un’evoluzione per l’azienda fondata a Vergaio nel 1949 da nonno Mario e nonna Alba. Lontana l’era in cui il commercio della bottega ruotava attorno a tre prodotti in croce: prosciutto, salame toscano e sbriciolona, il catalogo adesso contiene trentotto proposte. Tra le quali la mortadella di Prato, un’antica ricetta riesumata dai Mannori e diventata addirittura Presidio Slow Food. Sue Ellen e la sorella Celeste, quarte in linea discendente con i fondatori dell’azienda di famiglia, sabato si sono presentate al pubblico di Taste con un alimento che parrebbe una bestemmia: ed è già successo. Lunedì infatti, ultimo giorno della fiera ideata da Pitti Immagine per raccogliere le eccellenze alimentari del paese, il loro Magro era già finito. I numerosi gourmet e addetti del settore hanno fatto la fila per assaggiare il salume a base di coscia e spalla di suini toscani. Novanta per cento di magrezza e pochissimi grasselli bianchi, quelli scartati dai bambini.

Motivo in più per cui i più piccoli sono tra i suoi maggiori estimatori. «Ne avevamo realizzati una decina giusto per la fiera, proprio perché non sapevamo come avrebbe risposto il pubblico – spiega Sue Ellen Mannori, quarantenne atletica e appassionata del suo lavoro – ma non sono bastati». A fare la coda allo stand anche importatori stranieri e distributori che hanno lasciato biglietti da visita e ordini. Il Magro è stato prenotato in prevalenza dal mondo della ristorazione e da botteghe di qualità italiane, «ma anche da distributori dell’est, tedeschi, austriaci – aggiungono le sorelle Mannori – persino un grosso importatore albanese, paese nuovo per il nostro mercato».

Celeste e Sue Ellen Mannori vanno fiere delle loro radici, là in quella bottega con laboratorio tramandata nel tempo nelle mani dei genitori, della zia e che da una ventina di anni vede impegnate in prima linea anche loro. Sono passati tanti tagli di carne sulla bilancia, fino agli ultimi ritovati a base di Calvana: dai wurstel alla bresaola, dal roast beef al prosciutto cotto. Tanti quanti bastano a far sì che quella piccola insegna molto nota in città, oggi vanti una finestra spalancata sul mondo. «Ci fa onore pensare che un’attività a conduzione familiare, dove ancora rispettiamo i principi dei fondatori, venda finocchiona e porchetta in Svezia e addirittura Hong Kong». Perché lo scorso ottobre è partita anche la prima spedizione verso il Sudest della Cina, a sottolineare quanto un prodotto di tradizione, se ben comunicato, possa fare molta strada.
 

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