Irene Grandi riscopre la sua anima blues; e di Firenze dice: «Ti ricarica ma non valorizza i suoi talenti»
Nel nuovo tour ripropone le canzoni che ha amato da ragazzina e con le quali si è formata vocalmente: «È una riconnessione con le mie radici»
«Della mia Firenze mi porto dietro il fatto di essere una persona che si impegna tanto, che crede nelle cose artistiche a cui si dà valore. Ma se per Firenze l’arte è importante è anche vero che, in qualche modo, è anche una città che non osanna molto i propri cantanti e i propri talenti. I fiorentini mi tengono sempre in allenamento, perché non mi incensano. Sono una cantante sempre in prima linea che deve sempre riconquistare il mio pubblico. Firenze non è una città particolarmente generosa con i propri talenti». Sono parole di Irene Grandi. Che parla del rapporto con le città di Firenze (dove è nata) e quella di Prato dove sarà in concerto venerdì 29 luglio alle 21, 30 nel chiostro di San Domenico. Un concerto in chiave blues, un genere che per Irene Grandi è «la radice, è la madre, e ti accoglie nelle sue grandi braccia».
Un concerto, ma anche un viaggio, fatto di brani che attraversano un arco temporale che va dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta, canzoni che sono blues nell’anima e nell’ispirazione. Nel concerto di venerdì si potranno ascoltare brani di Etta James, Otis Redding, Willie Dixon, Tracy Chapman, Sade, ma anche di Pino Daniele, Lucio Battisti, Mina e alcuni brani di Irene Grandi, riarrangiati in chiave rock-blues. L’appuntamento fa parte dei “Concerti a San Domenico” ed è organizzato da Fonderia Cultart. L’artista fiorentina parla anche del successo che ottenuto nell’opera rock, che l’ha vista protagonista, “The Witches Seed”, composta da Stewart Copeland (libretto di Jonathan Moore) . Una storia che ci porta indietro nel tempo fra streghe e persecuzioni. L’opera ha debuttato, in prima mondiale, il 22 e 23 luglio a Tones Teatro Natura a Oira Crevoladossola in Piemonte.
Qual è allora il suo rapporto con Firenze?
«Io vivo nella campagna fiorentina, amo la mia città, ci sono molto affezionata, è una città che ti ricarica per la sua bellezza, la sua armonia. Poi qui ho la famiglia, i parenti sono, dunque, attaccata a Firenze. Non è però una città che ti aiuta a emergere. D’estate in modo particolare sono sempre in giro per i concerti ma quando sono in Toscana, la mia città me la godo abbastanza. La reputo una città vivibile dove non ci sono spostamenti impossibili come in altre città più grandi».
Fra pochi giorni sarà in concerto a Prato. Diciamo che vista la vicinanza con Firenze gioca in casa, che ne pensa della città?
«Prato è una città vivace, ricca di eventi. Mi ha sempre accolto fin da quando ero ragazzina quando suonavo a Prato in qualche locale. Ci sono affezionata e questa volta arrivo in un luogo a me nuovo come il chiostro di San Domenico, in questo concerto di blues per un pubblico diciamo un po’ più selezionato perché non è il grande concerto pop ma un concerto particolare. E sono contenta che Prato mi abbia invitato e voglia vedermi in questa veste».
Un luogo particolare quello di San Domenico. Suggestivo.
«Non ho mai visto il chiostro di San Domenico ma mi hanno detto che è davvero carino, raccolto e giusto per un concerto come quello che farò. Con tanta bella musica. Un posto che reputo adatto, perché un luogo così amplifica le emozioni, perché molto bello”.
Arriviamo quindi al concerto “Io in blues”. Di cosa tratta?
«È una riconnessione con le mie radici, da dove vengo, le canzoni che ho amata da ragazzina, con cui mi sono formata la mia voce, il colore un po’nero, di questa voce con un timbro particolare. Nel concerto passo da canzoni internazionali di blues o comunque rhythm e blues a quelle che quando ero ragazzina erano le mie hit. E poi spazierò per alcuni cantanti italiani che hanno amato il blues come Pino Daniele, Lucio Battisti e anche Mina che aveva dei colori blues negli arrangiamenti delle sue canzoni. Finisco il concerto con il mio repertorio e così è come se fosse proprio un iter: dalle canzoni internazionali ai nostri grandi cantanti che hanno amato il blues alle mie canzoni rivisitate con l’organo hammond che fa da strumento principe, che colora di queste sonorità blues lo show”.
Come è nata l’idea di questo tipo di concerto?
«È nata nel periodo del lockdown, Era difficile essere ispirati da cose nuove, non avevo molti contatti con i musicisti, eravamo tutti un po’isolati e quindi facevo fatica nel trovare lo slancio per fare cose nuove. E anche per i cambiamenti che c’erano a causa del lockdown nei rapporti e nelle priorità, ho pensato di tornare alle radici anche ispirandomi allo yoga che è stato una grande compagnia, uno strumento per affrontare un momento difficile per me. Spesso si dice nello yoga di affondare i piedi nella terra, essere connessi con le proprie radici, sapere chi siamo e da dove veniamo. Questa cosa mi ha ispirato. Mi è venuto in mente di fare un concerto raccontando da dove vengo attraverso le canzoni che ho amato e il genere musicale che mi ha formato. È venuto fuori un concerto molto piacevole, che scorre, divertente, energetico. Insomma mi rappresenta, è grintoso e non mancano momenti molti poetici con delle canzoni a esempio di Tracy Chapman, che negli anni Novanta ci hanno segnato».
Ci può svelare qualche canzone sua in scaletta?
«Naturalmente ci sarà “Se mi vuoi”, poi canterò “La tua ragazza sempre”, “Bum Bum”e poi altri brani”. Da pochi giorni è reduce di “The Witches Seed”».
Che esperienza è stata?
«Una bellissima esperienza fatta di innovazione e sperimentazione. Lo spettacolo che prende spunto da avvenimenti storici, dai processi fatti nel periodo dell’Inquisizione. È una storia di streghe, più precisamente donne accusate di essere streghe che si sono ribellate alla società dei loro tempi, avendo una visione più aperta ed emancipata della propria vita. Queste donne, libere ma allo stesso tempo emarginate da una società che non le accetta, affrontano pregiudizi e dure persecuzioni. La profonda interpretazione viene definita attraverso l’unione della lirica, della danza movimentata e della musica rock. Mescolando questi ingredienti ha preso vita uno spettacolo teatrale autentico. Unito grazie a un particolare crossover musicale tra la musica moderna e quella antica. “The Witches Seed”, quest’opera teatrale realizzata dal fondatore dei Police, Stewart Copeland, onorato di fare un’opera in Italia, vivendo questa esperienza con artisti internazionali. Nella musica composta dall’artista americano si aggiungono alcune canzoni composte da un altro pezzo da novanta, la cantautrice Chrissie Hynde, leader dei Pretenders, che mette il suo talento artistico e musicale nelle note di Copeland. E poi le immagini oniriche, gli sfondi fantasy e l’atmosfera grottesca rendono originale e indipendente questo racconto».
La cantante che canta anche con gli occhi, dove sembra di leggervi il testo della canzone. Parlano loro stessi. È giusta questa affermazione?
«Sì. Quando mi rivedo noto che ho gli occhi molto mobili, anche durante’The Witches Seed’ancora di più. Dovevo fare la strega, quindi facevo espressioni grintose, arrabbiate. I miei occhi hanno cantato tanto in questa opera».