Rapporto mafie, Prato svetta per il riciclaggio
Secondo uno studio realizzato dalla Normale di Pisa la provincia è al primo posto in Italia per il riciclaggio di denaro sporco. Le grandi inchieste
PRATO. Se negli ultimi tre anni la Toscana è la prima regione in Italia - dopo quelle a presenza storica di mafie come Campania, Calabria e Sicilia - per arresti o denunce con l'aggravante del metodo mafioso, Prato si distingue per il riciclaggio di denaro sporco. Primato che non solo toscano, ma addirittura nazionale, come segnala il “Rapporto sulla criminalità organizzata in Toscana” realizzato dalla Normale di Pisa. Grosseto, Livorno, Prato e Massa Carrara sono le province a più alto rischio di penetrazione mafiosa.
Caso Prato. L’attenzione della Normale nostra provincia è tale, che lo studio dedica al “caso Prato” un capitolo a parte di una ventina di pagine, dopo aver già snocciolato a più riprese in altre parti della ricerca episodi e inchieste che avuto Prato al centro negli ultimi anni. Tra le nuove mafie, recita la ricerca spicca la criminalità cinese, considerato dagli stessi inquirenti “il macro fenomeno più pervasivo” e il più difficile da contrastare.
La mafia va dove il denaro gira, e questo vale ovunque, ma nel caso di Prato è evidente come, dice sempre la ricerca della Normale, come «il radicamento derivi dall’incontro rfra offerta criminale e ricettivtà locale. Il territorio ha caratteristiche del tutto peculiari, perché è sede della più forte realtà produttiva dei migranti cinesi in Europa». Nel contempo Prato «è territorio che ospita alcuni mercati ad alto tasso di illegalità e che risulta coinvolto dalla presenza di interessi criminali, talvolta anche mafiosi, sia italiani che stranieri».
Vi è una difficoltà nel contrastare il fenomeno che deriva dalla sua sfuggevolezza, ma anche dal fatto che, nel caso di criminalità cinese, non è facile far sussistere l’aggravante mafiosa. Come recita un passaggio della Cassazione, il “metodo mafioso”, «è subordinato alla sussistenza nel caso concreto di condotte specificamente evocative della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, non potendo essere desunta unicamente dalla peculiare carica di intimidazione connessa allo strumento prescelto dal reo».
Grandi inchieste, ma cade l'aggravante mafiosa. Così si spiega come, nel caso più recente, per gli oltre 200 imputati della maxi-inchiesta sui cosidetti “money transfer” - con 400 ditte cinesi coinvolte e un fiume di denaro pari a 4 miliardi trasferiti in Cina - il 16 aprile 2018 è scattata la prescrizione e l’aggravante mafiosa è caduta nel corso dell’udienza preliminare. La stessa Bank of China coinvolta nelle indagini per la mancata segnalazione di operazioni sospette, è uscita dal procedimento pagando una sanzione di 600mila euro.
Detto questo, mafia o non mafia, l’analisi della Normale sul “caso Prato” ha tratti impressionanti per numero e qualità di reati. E tira spesso in ballo la contiguità, se non complicità, da parte di alcuni pratesi, come è avvenuto nel caso più noto e tragico della Teresa Moda. C’è lo sfruttamento lavorativo di immigrati cinesi clandestini in attività gestite da prestanome in capannoni di proprietà italiana. Ma anche inchieste come i “colletti bianchi” e l’operazione Cian Liu, “fiume di denaro”.
Italiani e stranieri: gli interessi si sovrappongono nel distretto tessile. Nella sua conclusione sul “caso Prato”, lo studio della Normale nota come «il distretto tessile, tenuto conto del suo articolato indotto e la sovrapposizione fra interessi italiani e stranieri che lo animano, ospita importanti sacche di illegalità diffusa che costituiscono il contesto favorevole all’insorgenza di fenomenologie criminali anche di tipo mafioso».