Manifesto contro l’identità di genere la battaglia si sposta in Tribunale
“Pro Vita” presenta ricorso al Tar contro l’ordinanza di rimozione
PONTEDERA. “Pro vita e famiglia” presenta ricorso al Tar contro l’ordinanza del Comune di Pontedera che ha consentito di rimuovere il manifesto, affisso nei primi giorni di ottobre, in piazza Alberto Dalla Chiesa, a sostegno della campagna #stopgender, promossa dalla stessa associazione. E l’amministrazione preso atto della necessità di costituirsi in giudizio ha nominato Nicola Pignatelli come legale, impegnando una somma di 8. 754 euro.
Al centro della querelle che nell’ottobre scorso scatenò segnalazioni e proteste, il manifesto che ritraeva un bambino imbronciato a cui due mani volevano mettere rossetto e fiocco rosa, con una frase, su sfondo nero: “Basta confondere l’identità sessuale dei bambini”. Il sindaco Matteo Franconi e l’assessora alle politiche sociali Carla Cocilova chiesero agli uffici competenti di istruire un’ordinanza per disporne l’eliminazione. «C’è una legge che vieta espressamente questo tipo di messaggi», disse Cocilova proprio al Tirreno, citando la n. 156 del 9 novembre 2021, che inserisce all’art. 1 comma 4 il comma 4-bis questa norma: «È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche».
Così il cartellone fu tolto ma dopo cinque mesi la decisione torna a dividere. «Già durante il flash-mob che seguì a questa presa di posizione – annunciano da Pro vita e famiglia onlus – manifestammo il nostro dissenso contro un’azione, quella del Comune, che aveva tutto il carattere della censura in omaggio a un’ideologia di cui ufficialmente si ostina a negare l’esistenza ma che invece imperversa. Occorre promuovere alleanze tra maschio e femmina e non “destrutturare” stereotipi di genere come spesso si legge sui progetti inseriti nei piani di offerta formativi degli istituti scolastici ed è per questo motivo che abbiamo confermato la nostra idea di ricorrere contro l’ordinanza del Comune come a suo tempo annunciammo».
Dalle parole ai fatti. «L’amministrazione pontederese – continuano – ci ha privato del diritto, garantito costituzionalmente, di esprimere la nostra opinione sull’opportunità dell’introduzione nelle scuole di insegnamenti improntati alla prospettiva di genere. È importante che i nostri figli siamo liberi di crescere e non condizionati dalle ideologie e che sia rispettato il primato educativo della famiglia su aspetti sensibili della vita della persona. Le nostre campagne di affissioni sono legittime e rispondono alla necessità di fare comunicazione sociale su argomenti spesso affrontati in modo assai lontano dalla realtà». Ma dal Comune confermano la scelta iniziale. «Siamo convinti – ribadisce l’assessora – di aver compiuto un atto a tutela dei diritti di tutti. Già allora argomentammo la decisione con norme e riferimenti giuridici che esistono e che devono essere attuati. Poi Vedremo. D’altra parte la libertà di parola, di espressione e di pensiero non può ledere elementi universali».