Il Tirreno

Pistoia

Politica: l’intervista

Bernard Dika, il recordman di preferenze in Toscana: «La gavetta serve ma non sia una scusa per bloccare i giovani»

di Mario Neri
Dika con Giani durante la campagna elettorale
Dika con Giani durante la campagna elettorale

Da “enfant prodige” delle Leopolde al risultato delle ultime regionali: figlio di migranti e simbolo di una nuova generazione democratica

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PISTOIA. Cinque anni fa la recordwoman del Pd a Pistoia era Federica Fratoni, 10mila preferenze, con un’affluenza più alta di quindici punti. Oggi, con la metà dei votanti in fuga dalle urne, Bernard Dika ne raccoglie oltre 14mila. Un ragazzo del ’98, figlio di genitori albanesi fuggiti dalla dittatura, cresciuto nella Valdinievole, a Larciano, e adottato dalla politica toscana come simbolo di una generazione che non si rassegna. «Non ho corso contro qualcuno, ma per la mia terra». È stato l’icona millennials di Renzi alle Leopolde quando nella vecchia stazione il rottamatore sparava a palla We are young, prima ancora l’allievo curioso di Bersani, poi il portavoce di Eugenio Giani a Palazzo Strozzi Sacrati, ideatore del Next Generation Fest dove raduna tutti gli influencer, attori, registi, imprenditori, insomma i ggggiovani più ganzi d’Italia e della Toscana. Una trafila breve ma intensa, quasi cinematografica.

Bernard Dika, è il terzo per numero di preferenze in Toscana dopo Biffoni e Nardini. Ha superato ex sindaci, ex assessori regionali, ex consiglieri regionali e big del partito. È ancora qui con noi sulla terra?

«Sì, con i piedi ben piantati. Non ero mai stato candidato prima, e vedere tanta fiducia alla mia prima prova con gli elettori mi carica di enormi responsabilità. Darò il massimo.»

Tre temi per cui si impegnerà in Consiglio regionale per Pistoia.

«Sanità, infrastrutture e giovani. Sulla sanità voglio ridurre le liste d’attesa, rafforzare i nostri ospedali di Pistoia, Pescia e San Marcello e migliorare i servizi territoriali. Sulle infrastrutture, servono strade e collegamenti migliori per la montagna, la Piana e la Valdinievole, perché senza non c’è sviluppo. E poi noi giovani: dobbiamo creare opportunità di lavoro vere per restare, non solo promesse. Se una comunità perde i suoi giovani, perde il suo futuro».

Si parla di lei come possibile sottosegretario alla presidenza del Giani bis. Non è che poi, preso dai mille impegni, si dimenticherà di questa provincia?

«Pistoia è la mia casa. È la provincia che mi ha cresciuto, che ha cambiato il destino della mia vita e che mi ha eletto. Io non la dimenticherò mai. Il mio impegno nasce qui e resterà qui. Se avrò ulteriori ruoli di responsabilità, serviranno solo a far contare di più la mia provincia».

Il suo risultato arriva in una tornata in cui, dicono tutti gli analisti, il vero vincitore è l’astensione. Da ventenne quale crede sia la ricetta per riportare al voto gli stanchi, i delusi, gli schifati?

«La verità è che le persone sono stanche di vedere politici che passano il tempo a litigare, a dividersi tra destra e sinistra senza mai parlare dei problemi reali. Io non ho corso contro Tomasi o la destra, ma per Pistoia. Ed è così che torneremo a vincere».

Essere stato il portavoce di Giani crede l’ha aiutata o più penalizzata?

«Ho avuto solo trenta giorni per fare campagna elettorale, ma in sette anni con Giani ho imparato cosa significa amministrare: conoscere i problemi, capire i processi, trovare soluzioni. Durante i confronti con gli altri candidati mi sono reso conto di quanto mi fosse servito. Ero il più giovane, ma spesso anche quello più concreto, perché non parlavo per slogan: parlavo di cose che avevo visto e fatto».

Nella sua Valdinievole, però, molti comuni si confermano al centrodestra. Il Pd non riesce più a parlare alla sua base storica?

«Guardo avanti e al lavoro da fare, non sono un grande analista politico. La Valdinievole è un territorio con potenzialità enormi, che ha bisogno di sentirsi di nuovo al centro. Penso al rilancio delle Terme di Montecatini, che devono tornare a essere il motore di un turismo di qualità per tutta l’area, insieme a un Parco di Pinocchio rinnovato, al Padule di Fucecchio e ai borghi del Montalbano fino a Vinci. Dobbiamo sostenere il distretto floricolo e olivicolo, valorizzare le imprese e migliorare le infrastrutture, a partire dalla variante di Collodi ma anche con il miglioramento della viabilità tra Montecatini ed Empoli».

A Pistoia città il centrosinistra si risolleva. Può sperare in una riconquista. Quali cose fare e quali errori non commettere?

«Serve umiltà. Abbiamo vinto perché abbiamo parlato di Pistoia, non contro qualcuno. Impegniamoci per una viabilità migliore, parcheggi in centro e in periferia, cultura e turismo, sanità, lavoro, commercio. Soluzioni, non slogan o polemiche. Non chiudiamoci nel recinto del partito: il futuro si costruisce insieme a chi, anche fuori dal Pd, condivide valori e visione per Pistoia».

È conosciuto come il “giovane dem” dalle belle promesse. In realtà pochi sanno che ha già anni di gavetta alle spalle. Quanto conta?

«Conta tantissimo. La gavetta ti insegna il valore del lavoro, ti tiene con i piedi per terra e ti rende libero, perché, se hai fatto la strada dal basso, non sei manovrabile da nessuno. Io ho iniziato a 12 anni, come rappresentante degli studenti alle medie e poi al liceo: lì impari cosa significa non rassegnarsi ai problemi solo perché “è sempre stato così”, ma provare a cambiarli. Ma la gavetta non deve diventare una scusa per non lasciare mai spazio ai giovani. Dire che non siamo mai pronti è il modo migliore per non farci crescere. La politica ha bisogno di esperienza, ma anche di coraggio e di sguardi nuovi».

Durante la campagna alcuni idioti le hanno scritto “torna al tuo paese”, riferendosi alle sue origini albanesi. Ma intimamente, cosa succede a un ragazzo italiano figlio di immigrati quando legge quelle parole?

«Fa male. Pistoia con la risposta che ha dato nelle urne mi ha accolto una seconda volta. Se oggi un bambino con un cognome straniero vede che il proprio rappresentante in Regione si chiama Dika, sa che non deve avere paura delle sue radici. Può essere tutto ciò che sogna, senza vergognarsi».

È sempre stato molto impegnato sulla Memoria. Qualche giorno fa la ministra Roccella ha detto che l’Olocausto e le leggi razziali non sono colpa del fascismo ma solo dell’antisemitismo.

«Le leggi razziali non furono un incidente della storia, ma una scelta politica precisa del fascismo complice della Shoah. Lo sterminio degli ebrei resta il grande rimosso di una certa destra italiana. La memoria non è una questione ideologica: è una responsabilità civile e la miglior risposta a Roccella è far ripartire a gennaio il Treno della Memoria da Firenze ad Auschwitz. L’ho chiesto al Presidente Giani».

Guarda Gaza e cosa le viene in mente?

«È stato criminale pensare di eliminare Hamas con bombardamenti che hanno ucciso innocenti, annientando ogni prospettiva di ricostruzione e pace. Spero che Israele torni ad essere guidato da chi crede davvero nella soluzione di due popoli e due Stati, perché senza giustizia e senza pace per entrambi non ci sarà mai sicurezza per nessuno».

La prima cosa che ha fatto quando ha avuto la certezza di essere stato eletto.

«Ho abbracciato mia madre Flora. In silenzio. In quell’abbraccio c’era tutto: il dolore di una vita vissuta sotto la dittatura in Albania, la fatica di ricominciare da zero in Italia, la paura, ma anche la dignità e la speranza che non ci hanno mai abbandonato. In quel momento ho capito che tutto, davvero tutto, ne è valso la pena»

Cosa le ha detto sua mamma?

«Mi ha detto “Ricordati sempre da dove siamo partiti”. E ho pensato che tutta la mia storia, in fondo, stava proprio lì: in quella frase detta a bassa voce».

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