Il Tirreno

Pistoia

Città tropicale

«Pistoia brucia», dove il caldo uccide il futuro e crea povertà. Ma c’è una possibilità

di Mario Neri
(immagine generata con l’AI)
(immagine generata con l’AI)

L’analisi di Legambiente: in trent’anni le temperature aumentate di 8 gradi. L’emergenza climatica in città non è un’opinione ma una diagnosi

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PISTOIA. C’è un numero che basta da solo a raccontare la febbre di Pistoia. Nel giugno del 1995 la temperatura media era 18,3 gradi. Trent’anni dopo è di 26. Otto gradi in più. Non è un’anomalia stagionale, non è una bizzarria statistica: è una malattia sistemica. «Pistoia si è trasformata in una fornace urbana», dice Antonio Sessa, presidente di Legambiente Pistoia. Una città che si cuoce al sole, lentamente, ogni estate più calda della precedente. E che, di fronte a questa mutazione climatica, non reagisce. Non studia, non pianifica.

«Il vero problema – aggiunge Sessa – è l’assenza di risposte. L’inerzia delle istituzioni. Nessuna strategia di forestazione urbana, nessuna mappatura delle isole di calore, nessun piano sanitario per affrontare l’emergenza. Il caldo qui è stato trattato come una noia stagionale, non come un fattore di malattia e diseguaglianza».

Il fresco è possibile

La scienza parla chiaro. A Firenze, studi condotti da Marco Morabito del Cnr-Ibe hanno dimostrato come l’aumento di verde urbano possa ridurre fino a 5 gradi le temperature superficiali. Aumentare la copertura arborea del 10%, con alberi di 10 mt, può abbassare la temperatura al suolo di 4-5 gradi, il caldo percepito nei quartieri più esposti. Dove ci sono alberi e ombra, la differenza con le aree cementificate può arrivare fino a 13-15 gradi. È un’arma potente, concreta, testata. E non si tratta di rendere le città più belle: si tratta di salvare vite umane.

Il verde, un’eccezione

Eppure, Pistoia sembra percorrere la direzione opposta. Lo denuncia ancora Legambiente, lo conferma la cronaca urbana. A San Lorenzo, nel pieno del centro cittadino, l’attesissima riqualificazione si è tradotta in una colata di cemento.

«Abbiamo protestato in piazza con oltre 400 persone – ricorda Sessa – ma quel progetto è andato avanti lo stesso. Oggi, in piena estate, San Lorenzo riflette luce e calore, non offre sollievo. È l’emblema di una visione urbanistica miope, che preferisce l’effetto ottico al benessere reale». Quella piazza dove potevano crescere alberi e ombra, è oggi una distesa rovente dove il sole si moltiplica. Nel 2023, il report “Pistoia, la città che brucia” firmato dalla stessa Legambiente aveva già tracciato la mappa del caldo. Oltre al centro storico e a San Lorenzo, le zone più colpite sono Fornaci, Viale Adua, Viale Matteotti: arterie urbane ad alta densità, poche alberature, traffico, asfalto. Non serve un satellite per capirlo, basta uscire a piedi alle due del pomeriggio.

Disuguaglianza termica

Il caldo urbano non è democratico. Colpisce più duramente chi ha meno. È nei quartieri popolari, nelle case senza condizionatori, tra gli anziani soli e i malati cronici che si paga il prezzo più alto delle ondate di calore. «Le città che hanno investito seriamente nella forestazione urbana – spiega Sessa – hanno registrato meno ricoveri per colpi di calore, un miglioramento della qualità dell’aria, un calo delle patologie respiratorie. A Pistoia, invece, non abbiamo nemmeno un conteggio ufficiale dei danni da caldo».

Eppure, chi lavora nei servizi sociali sa bene che ogni estate le richieste aumentano, che i fragili restano chiusi in casa, che il caldo non è solo disagio: è isolamento, sofferenza, rischio sanitario. «La mappa della calura coincide con quella della disuguaglianza climatica: chi vive in centro, nei quartieri popolari, negli snodi più trafficati, è più esposto, più vulnerabile, più solo», dice Sessa.

Un grido inascoltato

Non è che nessuno avesse visto arrivare il problema. «Sono anni che chiediamo un cambio di passo – sottolinea ancora Legambiente – . Abbiamo presentato dati, proposte, soluzioni. Ma tutto è rimasto ai margini, ascoltato a volte, mai accolto davvero». I tavoli del verde si sono rivelati consultivi, non decisionali. Le istanze ambientali trattate come folklore. Intanto, la mappa della calura si sovrappone perfettamente a quella della vulnerabilità sociale. E ogni estate, Pistoia brucia un po’di più.

Un cambio radicale

L’alternativa esiste, ed è chiara. Non servono aiuole ornamentali né progetti vetrina. Servono: piani massicci di forestazione urbana, con alberi veri, non siepi decorative; tetti verdi e pavimentazioni permeabili per assorbire calore e acqua; mappe termiche ufficiali, aggiornate e pubbliche; piani climatici urbani con risorse strutturali, non solo buone intenzioni. Serve, in sintesi, una città che metta al centro la salute delle persone e non la resa dei rendering. «Fino a quando potremo ignorare tutto questo?», si chiede Legambiente. È una domanda che pesa come un atto d’accusa. E quando una città brucia, non muore solo il presente. Si spegne anche il futuro.

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