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Operazione al cuore inutile: ospedale condannato a risarcire. Il calvario di una donna di Lucca poi morta

di Pietro Barghigiani

	Un intervento in sala operatoria (foto d’archivio)
Un intervento in sala operatoria (foto d’archivio)

Il caso di una pensionata lucchese dopo l’intervento a Massa: conto di 600mila euro

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LUCCA. La scelta di sostituire la valvola mitrale fu un azzardo. Un’operazione al cuore inutile che poteva essere risparmiata alla paziente i cui effetti, nel giro di qualche mese, le procurarono pure una serie di ischemie fino all’ictus che la costrinse a un’esistenza sempre più limitata: fino a ritrovarsi, invalida completa, su una sedia e rotelle. Un calvario cui il decesso pose fine dopo poco più di tre anni. Aveva 74 anni la pensionata lucchese protagonista della vicenda sanitaria, la cui figlia e i due nipoti, al termine di una battaglia legale arrivata in primo grado, hanno chiesto e ottenuto dal Tribunale un risarcimento di oltre 600mila euro alla Fondazione Monasterio di Pisa nel cui perimetro gestionale si trova l’ospedale del cuore “Pasquinucci” di Massa dove la signora venne operata nel dicembre 2014.

Visite e malori

Il Tribunale di Pisa ha riconosciuto una correlazione tra l’intervento non necessario e il deperimento fisico della paziente concluso con la morte dopo poco più di tre anni dall’operazione al cuore non indispensabile.

La storia inizia nell’ottobre 2014 quando la donna, affetta da tempo da modesta valvulopatia mitralica asintomatica, viene controllata al pronto soccorso del San Luca di Lucca.

Qualche giorno dopo altra visita, stavolta specialistica, all’ospedale “San Cataldo” di Pisa. Quindi il ricovero a Massa al Pasquinucci dal primo al 10 dicembre.

Il 3 viene operata per la «sostituzione valvolare mitralica con valvola meccanica St Jude 31 in minitoracotomia destra».

Il 22 dicembre le viene impiantato un pacemaker. Iniziano i disturbi a livello neurologico che culminano nell’aprile 2015 con un ictus che le paralizza il braccio sinistro.

Dopo sette mesi, le viene riconosciuta un’invalidità assoluta e nel gennaio 2018 sopraggiunge il decesso a conclusione di una serie di attacchi ischemici.

La consulenza

I consulenti nominati dal Tribunale hanno concluso la relazione sostenendo che «la condotta clinica dei sanitari, per quanto riguarda le scelte terapeutiche eseguite, non sembra sia stata conforme alle linee guida e alle buone pratiche cliniche esistenti all’epoca dei fatti, non sussistendo alcuna delle condizioni che potevano portare ad una scelta chirurgica. Una più adeguata scelta sarebbe stata, come sostenuto dalle linee guida, sottoporre la paziente a stretto follow-up clinico e strumentale al fine di identificare l’eventuale corretto timing chirurgico, ovvero il momento in cui i vantaggi ottenuti dal trattamento sarebbero stati superiori a quelli della terapia medica».

Il nesso causale

Non è certissimo il collegamento tra sostituzione della valvola e i ripetuti ictus, ma i consulenti sottolineano che «la scelta fatta a monte di impiantare una protesi valvolare meccanica in posizione mitralica in una paziente asintomatica senza cui verosimilmente la sequenza di eventi cerebrovascolari che ha portato alla grave disabilità prima e al decesso poi non si sarebbe verificata».

Consenso informato

Nel conto del risarcimento il giudice inserisce anche il difetto sul fronte del consenso informato alla paziente.

Sul punto la Ctu disposta dal Tribunale segnala che «nel caso in oggetto, risulta assai stringato e generico, fermo restando che al di là della strutturazione dello stesso, resta il dubbio se alla paziente sia stata effettivamente illustrata la strategia operatoria, ovvero, per la precisione, l’ipotesi di un possibile cambiamento della soluzione chirurgica nella sostituzione della valvola mitralica (con protesi meccanica) con gli allegati rischi connessi con tale soluzione».

Altra contestazione. Non emerge alcuna annotazione nella cartella clinica dalla quale risulti che la strategia chirurgica sia stata illustrata alla paziente e che ne siano state da essa comprese le motivazioni ed i possibili rischi.

Grave condotta

Considerata la gravità della condotta addebitata ai sanitari e il grave danno biologico patito dalla donna, se correttamente informata, è la sintesi della sentenza, «la paziente non si sarebbe sottoposta all’intervento del 3 dicembre 2014 che non era da prescrivere nelle sue condizioni e che pertanto non sarebbe dovuta esservi sottoposta».

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