Pisa, gli diagnosticano una frattura ma dopo circa due mesi muore
L’Azienda ospedaliera condannata a pagare 700mila euro
PISA. Secondo il referto radiologico aveva solo una frattura della clavicola destra. In realtà la situazione toracica e polmonare era molto più compromessa. Al punto che l’uomo, ricoverato in ospedale nell’agosto del 2010 a seguito di un incidente stradale, non usci vivo dall’ospedale, dove morì nell’ottobre di quello stesso anno. Per questo il giudice civile del Tribunale di Pisa ha condannato l’Azienda ospedaliera-universitaria a risarcire i familiari della vittima con una cifra complessiva ampiamente sopra i 700mila euro.
La vicenda inizia il 9 agosto del 2010 quando l’uomo, a seguito di un incidente stradale, viene portato in ambulanza in codice rosso al pronto soccorso a Pisa. Qui viene sottoposto a una radiografia al torace che – secondo il referto dei sanitari – non porta al riscontro di lesioni pleuriche ma “solo” a quello di una frattura della clavicola. Dopo 12 ore di osservazione il signore viene dimesso, ma pochi giorni dopo, il 16 agosto, fa di nuovo ingresso in ospedale, lamentando forti dolori addominali e dissenteria. I medici decidono di ripetere la radiografia, dalla quale emerge una situazione molto seria, che porta al ricovero in terapia intensiva: vengono infatti riscontrate diverse fratture delle costole, un versamento pleurico e un diffuso pneumotorace.
La situazione clinica va via via peggiorando, fino al decesso del 23 ottobre, dopo oltre due mesi di ricovero, che risulta causato da sindrome da distress respiratorio.
Sulla vicenda viene aperto un fascicolo penale e i familiari dell’uomo, dopo tentativi di mediazione andati a vuoto con l’Aoup, decidono di rivolgersi al giudice civile per il risarcimento. Nel “mirino” c’è soprattutto la gestione del paziente durante il primo ricovero, quello in pronto soccorso a seguito dell’incidente stradale e in particolare la valutazione del referto della prima radiografia. Secondo i consulenti del pubblico ministero nel procedimento penale, la cui relazione è stata acquisita anche in sede civile, ci sarebbe stata una «incompleta refertazione», limitata «alla sola evidenziazione della frattura della clavicola destra quando, invece, erano palesemente evidenti almeno le fratture della quarta e quinta costola di destra». Inoltre – ed è il punto fondamentale del nesso causale tra il trattamento e la morte del paziente – la «superficialità comportamentale determinò un inquadramento diagnostico-terapeutico che, se corretto, avrebbe con certezza evidenziata la vera entità del trauma, con conseguente messa in atto di un’impostazione corrette che avrebbe con alta probabilità logica evitato l’instaurarsi delle complicanze settiche, ma non si può dire con assoluta certezza che avrebbe evitato la temibile e molto spesso infausta evoluzione in sindrome da di stress respiratorio». Anche se non c’è la «certezza», per il giudice vale il principio del «più probabile che non»: in sostanza c’è una ragionevole probabilità logica che le cose siano andate come ricostruito dai ricorrenti.
Per questo è stato disposto un risarcimento complessivo di oltre 732mila euro suddiviso tra il figlio, le due sorelle e tre nipoti della vittima.
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