Muore dopo l'intervento in ospedale a Pisa, i medici sbagliarono l'antibiotico e l'Aoup è costretta a pagare
L’uomo morì venti giorni dopo l'operazione, ma per il giudice il decesso non è causato dall’errore. Tutto nasce dall'aver ingoiato un nocciolo di susina
PISA. Se la cura antibiotica fosse stata più mirata, le possibilità di sopravvivenza del 70enne ricoverato nell’agosto 2016 a Cisanello e morto il mese successi, sarebbero state maggiori. Per questo il giudici civile del Tribunale di Pisa ha condannato l’Azienda sanitaria ospedaliera a risarcire con circa 38mila euro la famiglia dell’uomo. D’altra parte, il magistrato ha escluso che il decesso sia stato causato dai comportamenti dei sanitari, respingendo le richieste che erano state avanzate in questo senso dalla moglie e dalla figlia.
Tutto nasce da un nocciolo di susina
La vicenda inizia in maniera apparentemente casuale. L’uomo, circa un paio di settimane prima del ricovero a Cisanello, ingoia un nocciolo di susina. Nei giorni successivi va incontro a una serie di problemi che culminano, il 23 agosto, con l’accesso al pronto soccorso a causa di dolori addominali e vomito con feci.
Il 3 settembre successivo viene operato per la rimozione dell’occlusione intestinale causata dal nocciolo e viene portato in buone condizioni in rianimazione da dove, il 5, ritorno in reparto. Due giorni dopo viene rilevato pus nella sede della ferita; il 12 settembre una consulenza infettivologica consiglia ulteriori esami e un trattamento antibiotico empirico.
Il quadro dell’anziano subisce però un rapido peggioramento: il 19 viene rilevata la presenza di una grande raccolta di liquido nell’addome. Viene così operato d’urgenza, ma il 22 settembre sopraggiunge la morte.
I familiari avevano chiesto all’Aoup 1.320.000 euro di risarcimento per la morte del congiunto.
La morte non fu causata dai medici
Secondo il giudice – sulla base delle consulenze disposte durante il processo – non c’è però un nesso causale tra i comportamenti dei medici e la morte. C’è, infatti, un punto effettivamente critico: quello di non aver effettuati esami microbiologici dei batteri della ferita per poter utilizzare una terapia antibiotica più mirata rispetto a quella prescritta. Tuttavia – hanno scritto i consulenti – il paziente aveva una serie di gravi problemi pregressi, alcuni tra l’altro a carico proprio dell’apparato digerente: tanto è vero che anche l’intervento iniziale era comunque da considerare a rischio, rispetto alla stessa operazione in un paziente sano. Proprio per questo il decesso sarebbe comunque avvenuto: «Le condotte colpose, in considerazione dell’importanza del quadro clinico già in atto, non appaiono causalmente rilevanti nella perdita del bene vita per il paziente, il quale anche a fronte di una più adeguata impostazione terapeutica, ovvero della somministrazione di cure adeguate, non avrebbe potuto evitare l’exitus».
La perdita di sopravvivenza
Se i comportamenti dei medici non hanno causato direttamente la morte tuttavia il giudice ha accertato la «perdita di chance di sopravvivenza». In sostanza, viste la condizioni generali dell’uomo, l’aggravamento e la morte sarebbero stati inevitabili. Ma i comportamenti dei medici hanno comunque privato il paziente «di apprezzabili chances di maggior sopravvivenza (per un tempo breve ma non definibile), come pure di vivere l’ultima parte della sua vita in modo qualitativamente migliore».
Per questo il giudice ha disposto che Aoup paghi circa 38mila euro a favore degli eredi dell’anziano, oltre a parte delle spese legali e a quelle per le consulenze tecniche.