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Pisa, ustionato dopo l’applicazione del pacemaker: l’ospedale deve risarcirlo con 40mila euro

di Pietro Barghigiani
Pisa, ustionato dopo l’applicazione del pacemaker: l’ospedale deve risarcirlo con 40mila euro

L’azione legale del paziente a seguito del rifiuto dell’Azienda di pagare. Contro la sentenza l’Aoup ha presentato ricorso in Corte d’Appello

08 febbraio 2023
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PISA. Intervento delicato, ma non complicato. L’errore, però, è sempre in agguato. Come quello, secondo il Tribunale, commesso ai danni di un paziente a cui venne impiantato un defibrillatore biventricolare per tenere sotto controllo le aritmie.

L’uomo, all’epoca 61enne, (siamo nel maggio 2011) rimase ustionato alla schiena per l’uso sbagliato, stando alla sentenza di condanna, di una piastra adesiva sotto la scapola destra.

La cicatrice

Una cicatrice di circa 25 centimetri. Ustioni di secondo e terzo grado che richiesero un’operazione di chirurgia plastica per sistemare un Riconosciuta la negligenza dell’Aoup (intervento nell’unità operativa di Malattie cardiovascolari), il Tribunale di Pisa ha condannato l’Azienda ospedaliera a risarcire con circa 40mila euro l’ex paziente. Un verdetto contestato che è stato impugnato in Corte d’Appello dall’ospedale.

L’intervento

Il paziente si presentò a Pisa per essere sottoposto ad un intervento di espianto del defibrillatore intracardiaco – a causa di un’infezione – e conseguente impianto di un nuovo defibrillatore biventricolare impiantabile. Una sorta di pacemaker. Durante il reimpianto l’episodio dell’ustione, così come denunciato dall’uomo attraverso il suo legale e una diagnosi di «ustione di secondo/terzo grado da scarica elettrica al dorso».

Seconda operazione

Nel 2013 l’uomo in «presenza di un’ulcera in corrispondenza della cicatrice derivata dall’ustione riportata durante l’intervento, si sottopose a un’operazione di exeresi di ulcera cronica del dorso in esiti di ustione con copertura del difetto con lembo romboideo di trasposizione».

La causa

Alle mancate o non soddisfacenti risposte dell’Aoup sulla richiesta danni per l’ustione, seguì una causa civile definita in primo grado nei mesi scorsi. E che ora approda in appello.

La difesa dell’Aoup

Per l’ospedale non ci sono responsabilità addebitabili agli operatori sanitari pisani: «Durante l’intervento non sono state rilevate complicanze acute, né sono state riportate osservazioni relative ad eventuali lesioni cutanee riportate dal paziente fino alla sua dimissione; che sulla base della documentazione prodotta dall’attore, la prima certificazione dell’ustione risale a distanza di ben quattro mesi dalla dimissione, risultando, quindi, poco credibile che l’attore abbia atteso un così importante lasso di tempo per far valutare una lesione così rilevante».

La colpa medica

Dopo la valutazione di varie perizie, è stata ritenuta accoglibile quella del collegio peritale nominato dal giudice secondo cui «il nesso di causalità fra la condotta e il danno è accertato. Secondo il collegio peritale, l’ustione, per caratteristiche, forma, dimensioni, sede, è riconducibile, secondo il criterio del “più probabile che non” all’applicazione erronea della placca del defibrillatore durante l’intervento eseguito nel 2011».

Cartella clinica difettosa

Il Tribunale sottolinea la lacunosità nella ricostruzione dell’intervento a livello di cartella clinica. «La difettosa tenuta della cartella clinica non può comportare un’esclusione della sussistenza del nesso di causalità e, più in generale, non può costituire alcuno svantaggio, di carattere processuale, nei confronti del paziente che agisca domandando il risarcimento del danno – si legge nella sentenza – . La stessa struttura sanitaria convenuta ha rappresentato che, durante l’intervento, ha preposizionato sul corpo dell’attore le piastre adesive del defibrillatore esterno per ragioni di sicurezza e per monitoraggio con elettrocardiogramma. Dunque, si deve ritenere che la condotta posta in essere dai sanitari sia stata astrattamente idonea a provocare il danno consistente nell’ustione, con conseguente inversione dell’onere della prova sul nesso di causalità a carico della struttura sanitaria convenuta, stante l’incompletezza della cartella clinica (tanto quella del 2011, quanto quella del 2012) accertata dal collegio peritale».

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