Adina, il morso d’aspide e il miracolo di San Piero
Il medico, i pastori, la solidarietà dei vicini. Vicende e volti di un’isola che non c’è più. Adriano Pierulivo racconta l’avventura vissuta dalla madre nel ‘40
Adina, Plavio, Elba e Romualdo. Nomi ormai molto rari nell’isola. Riemergono dal racconto intitolato “1940 l’aspide di Adina” che rivela un fatto accaduto 82 anni fa. Un’avventura vissuta da Adina Rocchi, ormai quasi novantenne, che è stata messa nero su bianco dal figlio, Adriano Pierulivo. Il maestro, originario di San Piero, è in pensione da tempo. Oltre che ex insegnate è scrittore e poeta. Il vincitore di diversi concorsi vuole «recuperare memorie, testimonianze di vita di un’Elba che non c’è più. Vicende che fanno capire la vita semplice, dura e contadina di un tempo, quando l’isola non era ancora “inquinata” dal turismo e dai disvalori della società consumistica».
L’anziana madre gli ha riferito una sua brutta avventura che ha messo a rischio la sua stessa esistenza. La super fibra di Adina però le evitò la morte per via di un aspide che la morse quando aveva 8 anni. «Mussolini da pochi mesi era entrato nel guerra, attaccando alle spalle la Francia – è l’inizio del brano scritto da Pierulivo –. Poco male. All’Elba, gli echi del fronte rimanevano lontani. A Vallebuia era la stagione dei “selvi” (i funghi porcini in dialetto locale, ndr). In una domenica mattina di metà ottobre, la piccola Adina e il fratellino Plavio Rocchi, seguirono i propri genitori nella macchia».
I due bimbi nel salterellare per i sentieri si godevano l’ambiente puro in cui potevano vivere ogni giorno, e seguivano Elba Pisani, la mamma di origini marcianesi, e Romualdo, uno dei tredici fratelli Rocchi, scalpellino nelle cave di granito di Pomonte e dintorni di proprietà di Italo Bontempelli.
I due giovinetti videro in lontananza l’isola di Montecristo. Plavio notò anche una nave e subito la indicò alla sorellina, che indossava un vestitino colorato e i suoi nudi piedini poggiavano su di un paio di zoccoletti. Adina si sporse per vedere meglio la nave ma avvertì un intenso dolore perché pestò qualcosa di molto pericoloso. aveva disturbato un serpente: probabilmente prossimo al letargo invernale, che l’aveva morsicata al piede sinistro.
«M’ha punto il serpo», gridò. I genitori accorsero smettendo di raccogliere i funghi. Il babbo le chiese di che colore fosse il “serpo”. Alla risposta che era rosso purtroppo fu chiaro che si era trattato di un aspide. Bisognava agire. Subito i genitori strinsero intorno alla gamba della bimba la cintura del vestito di Elba e la cinghia dei pantaloni di Romualdo. Occorreva tentare di bloccare la circolazione del veleno nel corpo. Sull’isola, si sa, da sempre vivono le vipere. Tra queste il più temuto è l’aspide che emette una sostanza tossica in grado di portare alla morte.
La famigliola era lontana dalla propria casa ma a circa tre chilometri c’era San Piero, dove avevano un appartamento, come tanti altri, per presenziare a riti religiosi, funerali o feste. E, soprattutto, nel borgo collinare c’era l’ambulatorio del dottor Mario Maghelli, medico condotto, che le avrebbe potuto iniettare il siero antivipera. La madre, con Plavio, tornò indietro per prendere la chiave della casa sampierese, mente «Romualdo e la bimba – scrive Adriano Pierulivo – cercarono il sentiero per San Piero e si misero a correre. Dopo appena cinquecento metri, Adina vomitava e sputava un composto verde e grigio. Il cuore aveva i battiti accelerati. Romualdo se la caricò sulle spalle. La camicia a quadretti grossi, ben presto cambiò colore e la pelle dell’uomo colava da tutte le parti».
Una corsa dura, in salita, nel sentiero accidentato. Il babbo temeva di non farcela a salvare la figlia. Dopo una mezzora erano al Moncione. L’uomo arrancava con la bambina sul groppone ma non mollava. Per fortuna incontrò Mamiliano, il pastore che faceva ricotte nel suo caprile. Romualdo gli spiegò la situazione e l’uomo partì di corsa a cercare aiuti.
«Quando Romualdo e Adina arrivarono a Le Piane, a circa 500 metri dal paese, videro due uomini precipitarsi verso di loro – prosegue il racconto del poeta-scrittore –. Portavano una sedia: Adina fu fatta sedere e, uno di qua e uno di là, la sollevarono e la trasportarono fino all’ambulatorio, sotto gli incitamenti del genitore disperato. Il paese era tutto in subbuglio. La notizia che la figliola di Romualdo era stata punta da una vipera, correva di casa in casa. Il dottor Maghelli, il medico condotto, aspettava nel piccolo ambulatorio del vicinato Corto. Quando la bimba arrivò, più morta che viva, le iniettò immediatamente la prima dose del siero anti vipera. La bimba aveva la pelle bluastra. Non parlava e non interagiva».
Il medico la chiamava ma la bimba non era cosciente, pareva non ci fosse più nulla da fare. Intanto Elba tardava ad arrivare con la chiave della casa del vicinato Lungo e Italo Bontempelli offrì la propria casa posta in piazza della Fonte. Il medico se ne dovette andare e raccomandò di fare tanti bagni con l’acqua calda alla piccola Adina.
«La mamma, quando finalmente arrivò da Vallebuia, si dedicò completamente alla figlia e non la lasciò per un momento, notte e giorno – prosegue il racconto –. Metteva sul fuoco enormi pentoloni d’acqua per i bagni caldi, ma per quanto fosse a bollore, quell’acqua Adina la sentiva fredda. Dopo un paio di giorni la forte fibra della ragazzina ebbe il sopravvento sul morso dell’aspide. Pian pianino riprese a mangiare e a rispondere alle domande che le venivano poste».
Il lieto fine quindi si concretizzò e dopo circa dieci giorni, tornando nella “scuolina” di Seccheto, ebbe molto da raccontare alle compagne di classe. Aveva talmente tante cose da dire, che le racconta ancora adesso, mentre continua a saltellare dietro ai suoi sogni di novantenne.
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