Gli scienziati tedeschi sulle tracce del metano in mezzo al mare: ecco i video del gesyer
I biologi dell’Hydra Institute hanno studiato per anni le sacche di gas nei fondali tra l’Elba e la Corsica
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CAMPO NELL'ELBA. C’è un triangolo di mare tra l’Elba, Pianosa e lo Scoglio d’Affrica, nel quale l’energia del sottosuolo emerge con una forza misteriosa. Miscele di gas che escono sulla superficie, modificano l’habitat sottomarino e lasciano tracce, segni tangibili di un’attività geologica sottomarina. Ebbene, quelle tracce sono seguite, ormai da anni, dal team di scienziati dell’Hydra Institute, un istituto di studio privato che collabora con Università di tutto il mondo.
Il gruppo di ricercatori di nazionalità tedesca, specializzati nelle ricerche di biologia marina, dal 1996 hanno aperto una base di studio a Fetovaia, a Campo nell’Elba. E per anni hanno esplorato in modo minuzioso l’ambiente sottomarino di questo spicchio di mar Tirreno, nel cuore dell’arcipelago toscano. Un loro interessante studio, pubblicato online solo un anno fa, si intreccia e offre un altro indizio di contesto prezioso per decriptare l’evento di giovedì scorso, accaduto a poche centinaia di metri a nord dello Scoglio d’Affrica. Un getto di acqua, gas e fango è fuoruscito dalla superficie dell’acqua, lasciando sbigottiti i pescatori che stavano calando le reti in quel tratto di mare particolarmente pescoso.
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In queste ore gli scienziati dell’Ingv di Napoli e dell’Università La Sapienza di Roma stanno approfondendo le indagini che, speriamo in tempi brevi, chiariranno l’origine del fenomeno naturale svelando quello che, ad oggi, ha assunto i contorni di un mistero. La parola mistero, tuttavia, non è comprensibile per chi, tutti i giorni, si occupa di scienza. «In realtà abbiamo studiato a lungo questo tipo di fenomeni – racconta Christian Lott, uno dei biologi del team elbano di Hydra Institute – delle sacche si formano nel fondale e rilasciano una miscela di liquidi e gas, tra cui il metano che arrivano fino alla superficie».
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Lo studio.
Lott si trova in questo momento in Indonesia per delle ricerche, ma ha seguito dall’altro capo del mondo quanto, in queste ore, sta avvenendo nella sua amata Isola d’Elba. Lui è uno degli studiosi che in questi anni hanno esplorato il sottosuolo intorno all’isola. Ha scritto, assieme ai colleghi S. Emil Ruff, Hanna Kuhfuss,Gunter Wegener, Alban Ramette, Johanna Wiedling, Katrin Knittel e Miriam Weber la ricerca intitolata “Methane Seep in Shallow-Water Permeable Sediment Harbors High Diversity of Anaerobic Methanotrophic Communities, Elba, Italy”.
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«Il nostro studio – precisa il biologo di nazionalità tedesca – non ha approfondito dal punto di vista geologico questi episodi di rilascio di gas in superficie, piuttosto ha indagato su come questo tipo di eventi abbia modificato l’ambiente sottomarino circostante. In pratica abbiamo verificato gli effetti del rilascio di gas dal sottosuolo sulla posidonia, le alghe e i microrganismi come i batteri».
La ricerca, di fatto, dà una nuova conferma circa la vitalità dal punto di vista minerale di questa porzione di mar Tirreno e va a colmare un vuoto nelle ricerche protrattosi per anni. La presenza di giacimenti sottomarini di gas metano, infatti, era stato accertato nel 1968 da uno studio di due biologi dell’Istituto di geologia di Genova. Quindi il mare intorno allo Scoglio d’Affrica era stato oggetto di due prospezioni da parte di Agip, che negli anni Settanta e Ottanta ha aperto i due pozzi Martina 1 e Mimosa 1. In entrambi casi fu accertata la presenza di gas, ritenuto però non sfruttabile dal punto di vista industriale. La presenza di metano era stata inoltre, come riportato dal Tirreno, all’origine di un’interrogazione parlamentare presentata nel settembre del 1984 da quattro deputati, tra cui Altero Matteoli che negli successivi è diventato ministro all’Ambiente. Insomma. Il team Hydra ha confermato di recente quanto i pescatori campesi dicono da decenni: il mare ribolle e tra l’Elba e la Corsica sono frequenti le emissioni superficiali di gas. Resta da capire se e come questo contesto sia collegabile con quanto accaduto giovedì scorso.
L’asse longitudinale.
Lo studio biologico dell’Hydra Institute si concentra sull’osservazione di tre hotspot sottomarini: il primo punto di osservazione è il mare di fronte a Pomonte, quindi un secondo punto di fronte all’isola di Pianosa e il terzo a nord dello Scoglio d’Affrica. «È interessante notare – spiega Christian Lott – come le crepe studiate, da cui si è verificato il rilascio di gas, si sviluppino in un asse longitudinale. Ciò fa presupporre la presenza di una dinamica geologica uniforme». Saranno gli studi avviati dai tecnici dell’Ingv e della Sapienza di Roma a chiarire l’origine e le caratteristiche di quanto accaduto giovedì. Tra le ipotesi, al momento, ci sarebbe anche la presenza di un piccolo vulcano di fango.