Nei piatti poesia, natura e alchimia: parola di Cahssai da Lamporecchio
Lo chef di Atman svela i segreti della sua cucina. Oltre a fregiarsi della stella Michelin, il ristorante ha conquistato i “4 cappelli” della guida dell’Espresso
LAMPORECCHIO. «La trasformazione degli elementi della natura in piatti da servire è un’alchimia piena di fascino che mi appassiona da quando avevo 8 anni». Parola di Marco Cahssai, executive chef nonché proprietario del ristorante Atman in Villa Rospigliosi, a Lamporecchio, che solo pochi giorni fa ha visto riconfermata la sua stella Michelin. Far vivere la poetica della terra nel piatto è la cifra distintiva di Atman, che attingendo alla straordinaria biodiversità del Montalbano e a materie prime “insolite” è riuscito a confezionare una proposta gastronomica fuori dagli schemi. » Un piatto di Atman parla di Lamporecchio, del territorio bellissimo in cui siamo immersi – spiega – cerchiamo, inoltre, di proporre sempre la verità degli animali o dei cibi che cuciniamo». Che vuol dire?
«Proporre materie che uno non ha mai pensato di mangiare – spiega Cahssai – che si tratti di interiora di mare o di terra, anguille, lumache o cacciagione. Ma pensiamo anche ad animali più comuni: da Atman è possibile assaporare un lardo stagionato di mammella di mucca, non solo il filetto. Così andiamo a recuperare l’ancestrale profondo dell’animale, evitando ogni spreco». Il successo di Atman si deve anche alla sua squadra, un team di lavoro piccolo (8-9 persone tra cucina e sala) , ma affiatato. «Io credo molto nelle vibrazioni – sottolinea Cahssai – persone che lavorano bene insieme creano un risultato migliore perché quello della cucina è un artigianato immediato.
La riconferma della stella è molto importante, ma non siamo ancora paghi. Vorremmo provare a raddoppiare». Oltre a fregiarsi della stella Michelin, il ristorante ha conquistato i “4 cappelli” della guida dell’Espresso. «Vorremmo anche essere i primi in Toscana a ottenere il quinto. Sono solo 11 i ristoranti in Italia a poter vantare 5 cappelli».
È questa l’ambizione dello chef romano che è approdato in cucina solo dopo avere studiato lettere e filosofia, una passione che ha scelto di coltivare a prescindere, un percorso che lui stesso definisce “atipico ma naturale” dal momento che la sua proposta gastronomica impiega poca chimica e meno tecnica per lasciare quanto più spazio alle emozioni. «Mettere in discussione la perfezione della natura – che si evince osservando la sezione di un’arancia, il piumaggio di un germano reale, la struttura di uno sgombro – volendo creare, se possibile, un piatto ancora più perfetto sembra quasi un sacrilegio, ma lo facciamo sempre con molto rispetto, quasi in punta di piedi e questo il cliente che ci sceglie lo percepisce».