Il Tirreno

Montecatini

Addio all’avvocato Tiengo

Simona Peselli
Addio all’avvocato Tiengo

Dopo aver lottato per mesi contro una malattia, il professionista si è spento a 59 anni. Il dolore e i ricordi dei colleghi, compagni di udienze ma soprattutto amici nella vita

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PESCIA. Ci sono gli amici di scuola, quelli di sempre, ma soprattutto con la voce rotta dal pianto ci sono loro, i colleghi. Quegli avvocati che di solito vediamo in aula alteri e combattenti fino in fondo, senza timore di nulla e sempre con l’ultima parola in bocca pronta ad uscire. Da domenica, appena la notizia della morte di Gianfranco Tiengo, 59 anni, si è diffusa fra Pescia, Montecatini e Pistoia, le lacrime hanno cominciato a scorrere. Il Tribunale, le cause, le liti, i processi interminabili, tutto è sembrato così lontano. Il brutto male che aveva colpito pochi mesi fa Gianfranco senza chiedere il permesso e dargli diritto di difesa ha vinto portandolo via in una calda giornata d’estate. Ma sicuramente la morte non riuscirà a strappare i ricordi e le parole di stima di tutte le persone che hanno voluto bene a questo avvocato che era capace di farsi benvolere da clienti e “avversari”, che negli anni hanno imparato a stimarlo come professionista e compagno di lavoro. Gianfranco, che lascia il figlio Francesco, resterà per sempre un bel pensiero per tutti.

E di ricordi, ieri, i colleghi, anzi, gli amici, ne hanno tirati fuori tanti dai loro cuori pieni di dolore. Come Andrea Ferrini: «Oggi ti ricordo come amico Gianfranco, più che come avvocato, poiché di questo parla la tua storia. Con te se ne va anche un poco di me, ma rimane tanto di te. Grazie». E come Paola Innocenti: «Persona buona sempre gentile e disponibile in qualsiasi occasione e momento. Sempre sorridente e dotato di una simpatia sottile e contagiosa. Ricorderò per sempre il viaggio fatto insieme a Taormina in occasione del congresso dell’Unione delle Camere penali. Insieme all’amico e collega Andrea Ferrini fino a notte fonda a parlare e ridere grazie alle sue battute. Mancherà a tutti come persona e come avvocato sempre preparato e scrupoloso».

Affranto l’avvocato Giuseppe Castelli, già presidente della Camera penale. «Ricordo Gianfranco come un uomo competente, preparato, mai entrante. Né sopra le righe. Apprezzato dai colleghi e dalla curia tutta».

Gli fa eco il collega Lorenzo Cerri: «Garbato, ironico, fine, professionista serissimo con una leggerezza che lo faceva ben volere. Si parlava tanto di chitarre e musica. Avere a tavola Gianfranco oppure anche soltanto vicino era un piacere. Già con la sua presenza riempiva gli spazi. La sua discrezione produceva comunicazione. Lo ricorderò sempre così, oltre che come un collega di basso profilo, ma anche di alto livello. Trasmetteva energia positiva. Mancherà moltissimo a tutti».

«Abbiamo partecipato insieme a dei convegni come delegati inviati dalla Camera penale e da qui è nata la nostra amicizia – ricorda la collega Azzurra Tatti – Il ricordo più buffo che ho di lui risale a otto mesi fa. Siamo andati insieme a un processo a Bologna. Siamo partiti per un’udienza, dopo quasi due ore di auto siamo arrivati, ma per un difetto di informazione di un altro collega pistoiese ci siamo resi conto che il processo non si poteva tenere. Ma nessuno ci aveva avvisato. Io sono particolarmente irruenta e ho incominciato ad arrabbiarmi e a urlare. Ci avevano fatto fare un viaggio a vuoto. Invece Gianfranco, con quel suo modo di fare tranquillo, mi ha guardato e mi ha detto che non dovevo preoccuparmi. Perché alla fine non tutti i mali vengono per nuocere. Dal momento che ci trovavamo a Bologna abbiamo trasformato questa giornata. Ha esclamato che conosceva uno splendido ristorantino a Barberino del Mugello. Che è raro che a noi avvocati capiti di pranzare tranquillamente alle 12,30. Non dovevamo rientrare allo studio, perché per questo grosso processo avevamo riservato l’intera giornata. Così ci siamo ritrovati davanti a una bella bistecca accompagnata da un buon vino. Alle 14,30 siamo usciti dal locale “ubriachi”. Gianfranco era fatto così, sapeva vedere il buono anche nelle situazioni che non lo erano. Era un collega dal grande acume e intelligente. Era un vero signore: era un piacere incontrarlo e scambiare con lui una conversazione. Lo apprezzavo talmente tanto e gli volevo così bene che quando lo vedevo mi rendeva felice».l


 

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