Il Tirreno

Montecatini

Alle radici di Scarone, il puntero del basket rossoblù

di Gianni Tacchi
German Scarone
German Scarone

L'ex Montecatini è tornato a Buenos Aires da protagonista di un programma di Raitre: il quartiere dove è cresciuto, l’abbraccio con la nonna, i primi canestri e i suoi trisavoli di Salerno

24 ottobre 2016
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MONTECATINI. Alfano è un paesino di poco più di mille abitanti del Cilento, in provincia di Salerno. Antico feudo al centro di una serie di contese tra le grandi famiglie del ’400 e ’500, ha appena accolto le telecamere di Rai 3. Sì, perchè in quel piccolo borgo campano - secondo i registri parrocchiali - il 23 agosto del 1894 si sposarono i coniugi Matrella. E da lì, pochi anni dopo e comunque prima della fine del diciannovesimo secolo, si imbarcarono per l’Argentina e iniziarono una nuova vita, come tantissimi italiani dell’epoca. Il percorso inverso di uno dei loro discendenti, German Scarone, nato a Buenos Aires e volato in Italia per diventare poi il puntero del basket azzurro. E soprattutto l’idolo di Montecatini, dove ha trionfato in A2 nel ’99 e poi ha griffato il quinto posto in A1 nella stagione successiva, tornando poi da queste parti negli ultimi anni e salutando tutti la scorsa estate dopo due campionati di B con la Pallacanestro Monsummano.

Scarone è tornato ad Alfano ma soprattutto a Buenos Aires, «tre anni dopo l’ultima volta», come protagonista di “Radici - L’altra faccia dell’immigrazione”, programma di Rai 3 che accompagna gli immigrati nei loro ritorni a casa, tra curiosità, commozione e brividi. E l’ex playmaker della Nazionale azzurra, conquistata sfruttando proprio le origini salernitane dei suoi trisavoli, ha riscoperto alcuni luoghi indimenticabili della sua infanzia insieme al giornalista e regista Davide Demichelis, accanto a lui in questo emozionante viaggio. Il quartiere dove è cresciuto, la casa della nonna, il palazzetto dei primi canestri, una partitella e una grigliata con gli amici d’infanzia... «Il basket è stato prima uno sfogo e poi la mia salvezza - ha raccontato segnato dalle emozioni - da piccolo vivevo in una zona difficile, in più a casa non mancavano i problemi. Così ogni giorno mi rifugiavo nella palestra più vicina e giocavo, giocavo e giocavo. C’era una sola lampadina, ma a me bastava quella anche quando fuori era tutto buio. Povera nonna, quante volte è venuta a prendermi dopo le 8 e a trascinarmi a casa per la cena...».

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L’italo-argentino è infatti cresciuto a Remedios de Escalada, nella provincia della capitale. Una zona povera, poverissima, tagliata anche dalla criminalità e quindi problematica sotto ogni punto di vista. Ha passato la sua infanzia con la mamma e i nonni materni, non avendo praticamente alcun rapporto con il padre e quel ramo della famiglia. E Scarone è tornato proprio dalla nonna, Ilda Margherita de Matrella, che ovviamente ha origini italiane e vive ancora lì. Un mazzo di fiori, un bacio, gli occhi lucidi, l’abbraccio col fratello Sergio e lo zio Miguel... Poi ha aperto un cassetto e ha tirato fuori tutti i ritagli di giornale su di lui raccolti dal nonno, scomparso alcuni anni fa. «Li teneva nascosti in macchina, sotto la ruota di scorta. E ce lo disse solo dal letto dell’ospedale, quando non stava bene. Eccole le mie radici, le mie origini. Guarda, qui fuori (nel cortile della casa della nonna, ndr) usavo queste mattonelle sulla parete come canestro. Quante ne ho rotte...». Poi il palazzetto di fronte, i tre anni nel Lanus - dove è tornato anche in questo viaggio - e l’esplosione al Boca Juniors.

Le telecamere di Rai 3 sono entrate anche in casa di Carlos D’Aquila, l’osservatore - grande amico di Diego Armando Maradona - che portò il cestista in Italia all’inizio degli anni ’90. E anche qui l’ex Rimini, la città dove vive ancora dopo gli ultimi due anni a Monsummano, si è emozionato. «Era uno scugnizzo - ha detto D’Aquila - era furbo e bravo tecnicamente, le sue qualità erano sotto gli occhi di tutti. In questi 25 anni ci siamo sempre sentiti, German è anche una persona straordinaria». «Sono arrivato in Italia a neanche 16 anni con grande voglia di emergere - ha risposto Scarone - non è stato facile, ma la passione e i sacrifici hanno fatto la differenza. Dell’Argentina mi è rimasta la vena latina, lo sdrammatizzare davanti a ogni problema: il mio cuore è ancora qui, ma la testa e il corpo sono in Italia, che mi ha permesso di crescere e maturare soprattutto come uomo».

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Scarone è passato anche dall’Hotel de Inmigrantes, dove a fine ’800 - per qualche giorno, come imponeva il governo argentino - si fermavano tantissimi migranti italiani, forse anche i suoi trisavoli di Alfano. E insieme a Demichelis è andato a visitare anche Uribelarrea, nella pampa intorno a Buenos Aires, dove i Matrella lavorarono come agricoltori e allevatori. «Sicuramente mi è rimasta la loro tenacia - ha sottolineato German - quella tenacia che mi ha permesso di sfruttare la chiamata dall’Italia e diventare un giocatore di basket a livello professionistico, forse l’unica cosa che sapevo fare». Beh, gli è rimasta anche l’umiltà del campione cresciuto in periferia.

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