Massa, l'Asl condannata a risarcire due genitori con oltre 800mila euro
Per i danni irreversibili provocati al figlio l'Azienda sanitaria aveva già pagato 2,8 milioni
MASSA. Lui, il neonato che un errore in sala parto condannò a una vita da disabile gravissimo, era già stato risarcito con 2,8 milioni di euro. Quello che ora la Corte d’Appello stabilisce, accogliendo il ricorso dei genitori, è il quantum del danno da lesione parentale. Tradotto dal codice civile alla realtà quotidiana è la somma a cui la coppia ha diritto per aver subito una devastazione personale e familiare con una vita segnata dalle sofferenze di un figlio di cui si dovranno occupare per sempre. E che per sempre avrà bisogno di una persona per ogni tipo di necessità.
La condanna
I giudici di secondo grado hanno fissato in oltre 800mila euro il conto che dovrà essere pagato dall’Asl Toscana nord ovest che aveva “ereditato” la causa all’epoca dell’Asl 1 di Massa. Il danno al momento della nascita all’ospedale massese alla fine degli anni Novanta (evitiamo dettagli per non rendere riconoscibile la persona, ndr) fu irreversibile. Invalido permanente al cento per cento, il bimbo poi diventato adulto deve spostarsi su una carrozzina accudito dai genitori. «Una totale dipendenza da altre persone per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana, a causa di una gravissima disabilità motoria, tale da non consentire la deambulazione, i passaggi posturali e il mantenimento della posizione eretta, ciò aggravata da un ritardo intellettivo cognitivo medio e deficit visivo» sottolinea la seconda sezione civile.
Destino segnato
Sottoposto a visite e cure anche alla Stella Maris di Pisa, la vittima del danno in sala parto non potrà mai migliorare «al di là degli oscillanti progressi rispetto a competenze residue talmente contenute da non essere state apprezzate in termini di “validità psicofisica”, attesa la citata percentuale di invalidità statuita nel primo processo».
Danno subiti dai genitori
La valutazione del danno che la legge impone di monetizzare in caso di richieste di risarcimenti è stato il tema del giudizio. La coppia fin da primo momento di vita del figlio si è trovata a vivere una condizione di totale sconvolgimento della relazione che normalmente padre e madre hanno con un neonato, «non potendosi sperimentare in alcun modo nell’ordinario accudimento fisico e morale di un bambino, l’essenza stessa della relazione risultando assorbita stabilmente dal quadro patologico. In sostanza, la situazione in questione si colloca fra quelle del tutto estreme, in cui il funzionamento della relazione genitoriale con il figlio è del tutto eradicato dai canoni di ordinarietà, per riversarsi in una dimensione di necessario, costante e continuo accudimento, connotato dalla mancanza, in tal senso, di una prospettiva di reale evoluzione positiva della relazione parentale, anche in termini di fisiologica, progressiva, trasformazione dei ruoli, fino all’inversione degli stessi, così da procurare un patimento che ben può definirsi “assoluto” e lo stravolgimento totale e permanente delle prospettive di vita familiare».
Rapporti negati
Al dolore nel vedere un figlio in quelle condizioni va sommato anche il pensiero di quella che sarà la sua sorte nel caso in cui i genitori dovessero morire.
«A tale deprivante stravolgimento , non deve tacersi, la piena consapevolezza delle possibili criticità, in termini di patologie correlate o insorte ordinariamente nella vita del figlio, rispetto al suo quadro di validità fisica del tutto pregiudicato, e di costante dipendenza dai genitori, con relativa costante angoscia – si legge nella sentenza –. Non basta, non è serio negare che, in dette situazioni, a quanto sopra si accompagna, in modo sempre più intenso e forte, la consapevole prospettiva, in capo a padre e madre, di non poter garantire le cure fisiche, la protezione e l’accudimento anche morale e psicologico al figlio stesso per sempre, oltre il limite della propria vita, sì da dover affrontare, quale componente della genitorialità così determinata dalla condotta altrui, l’angoscia di non sapere chi ed in che modo si potrebbe occupare del figlio medesimo, al posto loro».l