Il Tirreno

«Chiudere le cave di marmo» La petizione a quota 4.600 firme

di Melania Carnevali
«Chiudere le cave di marmo» La petizione a quota 4.600 firme

L’offensiva degli ambientalisti continua alimentata dai dati che vedono sempre meno occupazione L’assessore Berti: «Vanno evitati gli abusi ma il marmo resta una risorsa importante per il territorio»

09 novembre 2013
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MASSA. È arrivata a circa 4.600 firme – solo mille raccolta in tre giorni - in poco più di due settimane la petizione lanciata sul sito avaaz.org in difesa delle Alpi Apuane. Un numero che cresce di ora in ora, raccogliendo sostenitori da diverse parti del mondo, tanto che anche i quotidiani nazionali ne parlano. La richiesta lanciata nella petizione è chiara: “chiudere le cave delle Alpi Apuane, in quanto causa del maggior disastro ambientale, e convertire l'economia in forme sostenibili”. Una richiesta sicuramente radicale ma che, se fino a qualche anno, sembrava improponibile adesso lo è meno.

Uno dei motivi principali per cui fino a qualche anno le cave erano considerate “sacre” era il suo risvolto occupazionale. Il territorio, infatti, dapprima era ricoperto di laboratori di scultura dove gli artisti o gli artigiani lavoravano il marmo, e in un secondo tempo, da industrie che lavoravano il materiale per produrre lastre destinate alle facciate dei palazzi. In ogni caso, qualsiasi fosse la sua destinazione, il marmo creava lavoro in loco. Adesso non è più così: il marmo viene spedito in blocchi nei paesi dove la mano d'opera costa meno e non risponde più quindi alla domanda di occupazione locale.

Ecco quindi che caduto il velo del lavoro, le cave delle Alpi Apuane mostrano la loro facciata più triste: quella della deturpazione dell'ambiente. Gli ambientalisti temono che lo sfruttamento sfrenato possa distruggerne completamente la fauna e la flora, oltre che il paesaggio dal punto di vista geologico. Dai tempi di Michelangelo, che con il marmo di Carrara scolpì il suo David, infatti, lo sfruttamento di queste montagne ha subìto un’accelerazione esponenziale, portando a produrre, ogni anno, circa 9 milioni di tonnellate di marmo – 100 volte tanto rispetto un secolo fa – di cui solo un quinto – secondo gli ambientalisti -viene utilizzato nell'edilizia. «Il resto – commentano i promotori della petizione- sono detriti generati dalle moderne tecniche di scavo trasformati in carbonato di calcio da usare per sostituire il piombo nelle vernici, l’amianto nei tetti, la fibra di legno nella carta e come riempitivo nei cereali, nei cosmetici, nelle pasticche di vitamine e nel dentifricio».

A questo, poi, gli ambientalisti aggiungono la nota dolente dell'inquinamento delle acque derivante dagli scarti, e quello dell'aria per le polveri sottili. Motivo per cui l’unica soluzione possibile, per i promotori della petizione, rimane la chiusura delle cave. Una scelta impraticabile però secondo l’amministrazione comunale, che pur riconoscendo il problema ambientale – quello in particolare della scomparsa di parte delle montagne – sostiene che sia impossibile chiudere tutte le cave. I motivi sarebbero due: il valore del marmo e l’occupazione. «Siamo conosciuti in tutto il mondo per questo materiale – commenta l’assessore all’ambiente Uilian Berti - , tanto che a settembre prossimo verrà ospitato lì il mondiale di corsa in montagna, quindi è fonte di prestigio per il territorio. In secondo luogo si creerebbe un’emergenza occupazionale che il territorio non può reggere. Anche se il marmo viene esportato all’estero, sono ancora centinaia e centinaia le persone che lavorano nel settore».

Rimarrà tutto come prima quindi?«Noi come amministrazione abbiamo le idee chiare sulla questione – continua Berti – e stiamo lavorando a una regolamentazione del settore in modo che non ci siano abusi, scandali e problemi ambientali gravi. Magari questo porterà alla chiusura di certi siti, forse soprattutto nelle parte alte, ma sicuramente non di tutte. Bisogna piuttosto cercare di valorizzare ulteriormente il marmo, e di ricreare sul territorio una filiera di lavorazione che aumenti il lavoro e rafforzi l’indotto. Il marmo è una risorsa per il territorio».

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