Il Tirreno

Lucca

Corte d'Assise

Processo per femminicidio, una testimone: «Vittorio ci chiese se avevamo un coltello con una lama lunga»

di Pietro Barghigiani

	Maria Batista Ferreira uccisa dal marito Vittorio Pescaglini
Maria Batista Ferreira uccisa dal marito Vittorio Pescaglini

La richiesta di Pescaglini alla moglie di un collega subito dopo il no della moglie alla separazione

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LUCCA. «Quando ricevette sul cellulare il messaggio della moglie che il giorno dopo non avrebbe firmato per la separazione, scaraventò il telefonino contro un muro e iniziò a urlare “l’ammazzo, l’ammazzo”. Mi chiese se avevamo un coltello lungo, poi ci disse che non importava perché l’aveva in macchina. Andò a casa a prendere il cane e ce lo portò, come aveva fatto altre volte. Seppi solo in serata quello che era successo».

È la moglie di un ex collega di Vittorio Pescaglini a testimoniare davanti alla Corte d’Assise (presidente Genovese, a latere Nerucci con sei giudici popolari) sollecitata più volte dalla presidente della Corte a ricordare bene in aula fatti e parole finiti nei verbali dell’epoca. Un racconto costellato di non ricordo e «scusate, sono in ansia», restituito nella sua completezza solo con il confronto puntuale delle pagine firmate davanti ai carabinieri dalla donna dopo la tragedia.

Si è aperto il processo a carico del 55enne di Vergemoli, reo confesso dell’omicidio della moglie Maria Batista Ferreira, 51 anni, brasiliana, all’esterno dell’hotel Gorizia a Fornaci di Barga, uccisa con quattro pugnalate il pomeriggio del 26 febbraio 2024. Il no alla separazione dall’operaio e la continua richiesta di denaro della donna sarebbero il movente del femminicidio. È stato il giorno dei testi dell’accusa (pm Paola Rizzo) in un dibattimento che non sarà lungo. Nel giro due, tre udienze si arriverà alla sentenza. Prima dell’udienza l’associazione “Non una di meno” ha esposto uno striscione all’esterno del Tribunale con la scritta “Non è né amore, né raptus, né pazzia. È femminicidio – Per Maria e le altre”. Sulle magliette la foto della donna e la scritta “Io sono Maria”. Le parti civili sono rappresentate dalle avvocate Valentina Zinzio e Gabriella Tolaini. Tra i testimoni anche il sindaco di Fabbriche di Vergemoli, Michele Giannini che aveva seguito la separazione della coppia.

Pescaglini in aula

Difeso dall’avvocato Gianmarco Romanini, l’imputato (ai domiciliari da tre mesi) era in aula.

È accusato di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela. Non viene contestata la premeditazione, ma la preordinazione: pur nella volontarietà del gesto, l’operaio non avrebbe pianificato il delitto con un ragionevole lasso di tempo da tradurre come scelta premeditata. Un reato da ergastolo.

Lo scatto d’ira confermato ieri mattina dalla teste sarebbe stata la premessa di quello che nel giro di poche ore Pescaglini avrebbe messo in atto nel suo disegno di morte.

La testimone

Sul banco dei testimoni è salita una 26enne residente in zona che quel pomeriggio fu la prima ad arrivare sul luogo del delitto.

«Ero sul portico della mia casa con alcune amiche quando ho sentito delle urla – ha raccontato – . Erano circa le cinque del pomeriggio. Ho iniziato a correre e ho visto un uomo sopra una donna che si divincolava. Pensavo la stesse picchiando. Mi sono avvicinata e d’istinto e gli ho detto “che c...o fai”. Lui si è alzato e a quel punto ho visto che aveva in mano un grosso coltello. Sono scappata e ho detto alle mie amiche di chiamare i soccorsi».

«Chiamali ora i carabinieri»

Dopo essersi rialzato dal corpo esanime della moglie, Pescaglini si è ritrovato faccia a faccia con la giovane arrivata di corsa richiamate dalle urla. In aula ha aggiunto al suo racconto: «Riferendosi alla donna a terra ha detto: “Chiamali ora i carabinieri, p.....a”. Quando sono arrivati i militari sono tornata sul posto e ho sentito che quell’uomo diceva “non ne potevo più”».

«Mi dispiace»

Un’altra teste ha raccontato la parte in cui Pescaglini era ancora sul luogo del delitto, dopo aver gettato il pugnale, in attesa di essere arrestato. «Continuava a dire “mi dispiace sono stato io, non sapevo più come fermarla” – ha ricordato – . Diceva di chiamare i carabinieri».

Cuore trapassato

È toccato al medico legale Stefano Pierotti sintetizzare le cause della morte di Maria Batista. Quattro ferite da punta e taglio, di cui tre su braccio destro, mano destra e coscia sinistra rilevate come lesioni da difesa. Fatale il quarto fendente con un pugnale di 38 centimetri con lama a doppio taglio di 25, 5 centimetri. «È entrata nell’emitorace destra provocando una lesione profonda con un tragitto tra i due alvei polmonari intersecando la base del cuore che è stato trapassato. La morte è sopraggiunta in pochissimi minuti». Prossima udienza il 4 giugno.l


 

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