Il Tirreno

Lucca

Tribunale del lavoro

Lucca, assiste la figlia minorenne che è stata violentata e manda il certificato di malattia in ritardo: operaio licenziato

di Luigi Spinosi
Lucca, assiste la figlia minorenne che è stata violentata e manda il certificato di malattia in ritardo: operaio licenziato

L’uomo ha impugnato il provvedimento ma il giudice gli ha dato torto e l’ha condannato a pagare le spese

01 aprile 2023
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LUCCA. Quando all’orrore della vita si aggiunge la rigida freddezza della legge. È l’incubo vissuto da un operaio residente in Lucchesia e che, mentre era sconvolto per la violenza sessuale subita dalla figlia minorenne, è stato licenziato. Gli è stato contestato di aver inviato in ritardo – negli stessi giorni in cui la figlia viveva l’orrore dello stupro – il certificato di malattia all’azienda lucchese per cui lavorava. Il tribunale del lavoro ha rigettato il ricorso dell’uomo contro il licenziamento, condannandolo anche a rimborsare la parte avversaria delle spese legali. Una storia di allucinante burocrazia, dove la logica quasi matematica del diritto fa a pugni con il concetto di umanità.

Una storia che risale all’autunno del 2020. Il primo ottobre di quell’anno scadeva il certificato medico dell’uomo, per i postumi di un intervento chirurgico, ma poiché i problemi di salute non si erano ancora risolti il suo medico il 30 settembre gli aveva rilasciato un ulteriore certificato di esenzione dal lavoro fino al 2 novembre. Solo che quel certificato, che l’uomo ha inviato quel certificato solo il 7 ottobre, tre giorni dopo il termine ultimo previsto dal contratto. Un ritardo che gli è costato il licenziamento.

Fin qui, in punta di diritto, niente da eccepire. Solo che in quegli stessi giorni l’uomo si era trovato a vivere una situazione nella quale per chiunque la burocrazia sarebbe stata solo l’ultima delle preoccupazioni. In quel periodo la figlia non ancora quattordicenne dell’uomo aveva subìto abusi sessuali e il 30 settembre la ragazzina fu convocata dal tribunale di Lucca per l’incidente probatorio, dopo che il presunto responsabile dell’abuso era stato individuato (ed è proprio per evitare l’identificazione della ragazza minorenne e tutelarla, in quanto vittima di violenza, che omettiamo nomi e dati dell’azienda). Ad aggiungere tensione su tensione il 4 ottobre arriva pure la notizia di un aggravamento delle condizioni della nonna dell’uomo. Poi lunedì 5 ottobre quando, senza certificato (che però c’era, anche se non inviato) sarebbe dovuto rientrare al lavoro, l’uomo si è dovuto preoccupare delle condizioni della figlia, finita al pronto soccorso a causa di forti dolori all’addome. Insomma, un accavallarsi di circostanze che hanno fatto passare in secondo piano, nella testa dell’operaio, tutto il resto, compreso l’invio della certificazione medica.

Fino al giorno 7 ottobre, quando invia un messaggio alla sua responsabile, dove si scusa per non aver inviato per tempo il certificato di continuazione della malattia (del quale, contestualmente inviava il numero), e illustrando i gravi problemi familiari che aveva attraversato in quegli stessi giorni. La vicenda poi è andata avanti, e il 20 ottobre la ditta ha inviato all’uomo la lettera di contestazione. La risposta dell’operaio, con le proprie motivazioni, è stata però consegnata il 28 ottobre, quindi in ritardo rispetto il termine previsto di 5 giorni. Da qui il licenziamento, contro il quale l’operaio ha presentato ricorso assistito da un legale della Cgil, per chiedere l’annullamento del licenziamento. Ma, come si legge nella sentenza «le giustificazioni addotte dal lavoratore, pur umanamente condivisibili, non possono assurgere a motivo di impedimento oggettivo» e, ancora, «la condotta complessiva tenuta dal ricorrente evidenzia una certa superficialità e disinteresse rispetto alle dinamiche lavorative, facendo venire meno quell’imprescindibile rapporto fiduciario con il datore di lavoro, ne consegue che il provvedimento massimo espulsivo emesso nei suoi confronti deve considerarsi proporzionale».

In questo senso, nella sentenza si sottolinea anche il ritardo rispetto ai termini nella consegna della lettera di giustificazione. Insomma, il licenziamento, chiude il dispositivo, «deve pertanto considerarsi pienamente legittimo». Una sentenza da accettare o contro la quale presentare ricorso: la decisione dell’operaio sarà presa nei prossimi giorni e non appare scontata. «Parlerò con il mio assistito a inizio settimana – spiega Gianluca Esposito, il legale della Cgil che ha seguito la vicenda – ma la decisione di presentare o meno appello dipende dalla sua volontà. Bisognerà capire se prevarrà la voglia di andare avanti o il timore di subire un’altra sentenza negativa e quindi di dover sostenere le relative spese, come in questo caso, in cui si è trovato obbligato a pagare sui tremila euro. E sono tanti soldi».

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