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La Digos perquisisce la casa del "cacciatore di ebrei" e scopre una coltivazione di marijuana

Luigi Spinosi
La conferenza stampa in questora con il dirigente della Digos Leonardo Leone
La conferenza stampa in questora con il dirigente della Digos Leonardo Leone

Lucca, l'indagine partita da un post nazista in cui un fornaio lucchese si proclamava "cacciatore di ebrei". In casa nascondeva un laboratorio attrezzatissimo per la produzione di marijuana

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LUCCA. Sono partiti per cercare l’estremista di destra, e lo hanno trovato. Ma, oltre ad armi più o meno vere e simboli nostalgici, gli uomini della Digos hanno scoperto anche ciò che non si aspettavano di trovare. Di certo non a casa di chi propugna “ordine e disciplina”: un laboratorio attrezzatissimo per la produzione di marijuana. Così Paolo Da Prato, fornaio di 53 anni, oltre a essere denunciato per istigazione all’odio razziale è stato arrestato, in flagranza di reato, per la produzione di sostanza stupefacente. E tutto era partito da un post sui social network.

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A mettere nei guai l’uomo è stato, come illustrato in conferenza stampa dal dirigente della Digos di Lucca Leonardo Leone, un post su Fb. I vari gruppi politici estremisti e i loro frequentatori vengono – ha spiegato il dirigente – costantemente monitorati. Sul profilo Fb di Da Prato compaiono saluti romani, foto accanto al busto di Mussolini e un campionario di esaltazioni filofasciste. Ed è stato durante uno di questi controlli che l’attenzione è stata attirata da una foto dello stesso Da Prato: nello scatto l’uomo, in posizione da James Bond, impugnava una pistola. Un’immagine di per se  inquietante, ma nemmeno troppo insolita nell’oceano di sciocchezze che si vedono sui social (anche perché a un occhio esperto appariva evidente che quella pistola era solo un giocattolo). Ad attirare l’attenzione degli inquirenti era stata soprattutto la scritta che accompagnava quello scatto: “The hunter of jews”, ossia “Il cacciatore di ebrei”.

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Da qui l’iscrizione nel registro degli indagati con il Pm Aldo Ingangi che ha delegato gli agenti della Digos alla perquisizione domiciliare. A quel punto è stato lo stesso Da Prato a consegnare spontaneamente la pistola della foto, una riproduzione (anche abbastanza grossolana) di una Luger tedesca, priva del tappo rosso che – per legge – dovrebbe caratterizzare le armi giocattolo. Una, si fa per dire, arma che poteva “sparare” solo pallini di gomma soffice (insomma, una sorta di cerbottana solo dalla forma più sofisticata). Una vera arma era invece rappresentata dal coltello, uno stiletto a serramanico, rivenuto durante la stessa perquisizione: un coltello della lunghezza complessiva di 34 centimetri, 15 dei quali rappresentati dalla lama, e in grado di uccidere. Le armi, vere e false, sono state sequestrate, così come è stata sequestrata la paccottiglia nazifascistoide trovata, come una bandiera con la croce celtica.

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Ma, come avviene sempre, la perquisizione è andata avanti e, usando una metafora cinematografica, quando gli agenti hanno controllato lo scantinato, si è passati da “Fascisti su Marte” a “L’erba di Grace”. Lo scantinato infatti era stato diviso con delle tende di nylon in due ambienti, uno per la produzione e l’altro per la lavorazione della marijuana. Un ambiente con un’attrezzatura di prima qualità e parecchio costosa (solo una delle lampade a led sequestrate, e mostrate  in conferenza stampa, riportava ancora il bollino con il prezzo: 649 euro). C’erano lampade a gas, deumificatore, ventilatore, fertilizzante, lampada a led, misuratore di umidità e, per la lavorazione e la commercializzazione (Da Prato non risultava infatti assuntore), c’erano un bilancino elettronico e materiale per il confezionamento, compresa una macchina per il sottovuoto.

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In quello spazio c’erano anche 22 vasi, dove erano state fatte crescere altrettante piante di cannabis che erano già state recise. E poi il prodotto finale, la marijuana, in vasetti di vetro e in sacchetto, per un totale di 484 grammi. A quel punto è scattato l’arresto, con Paolo Da Prato che è stato processato per direttissima (per i reati legati allo stupefacente, mentre resta indagato per quelli legati all’istigazione all’odio razziale). Davanti al giudice Gerardo Boragine l’uomo, incensurato, ha patteggiato una pena di due anni, pena sospesa.

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