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Olimpiadi, il triplista Andy Diaz torna a Livorno con la medaglia di bronzo: «Per noi è come un figlio, siamo fieri di lui»

di Alessandro Bernini

	Andy Diaz Hernandez
Andy Diaz Hernandez

Il triplista naturalizzato “livornese” conquista il terzo posto. Il presidente della Libertas Livorno: «Quando l’abbiamo portato da noi era in una situazione disperata, il problema non erano le gare ma sopravvivere»

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LIVORNO. Le braccia al cielo. Le lacrime. Mille pensieri in un attimo, la vita che scorre lungo una linea di 17 metri e 64. È il trionfo di Andy Diaz, una medaglia di bronzo nel salto triplo per certi versi incredibile visto che si era qualificato per la finale con l’ultima misura. L’ennesima sfida vinta per lui che nell’atletica ha trovato il riscatto, ha trovato, la ragione di vita e anche una città pronta ad accoglierlo: Livorno. Già, perché Diaz è stato adottato da Livorno quando Gianni Giannone, presidente della Libertas Livorno, decise di fargli indossare la maglia amaranto. Anche Giannone adesso fatica a trattenere l’emozione, ancora attaccato alla tv come se avesse vinto un figlio. «Andy è il figlio di tutti, il figlio di Livorno. Quando lo abbiamo portato con noi, si trovava in una situazione disperata, il problema non erano le gare ma sopravvivere. Da noi è rimato, ha ritrovato una famiglia e la voglia di allenarsi. Siamo fieri di lui, è il nostro orgoglio». «Voglio prendermi tutto e portare Livorno sul podio a cinque cerchi», aveva detto prima di partire. Una sparata? Incoscienza? Macché. Andy ha un fuoco dentro fenomenale. E, per dirlo alla Nada, «è sopravvissuto perché il fuoco dentro se bruciava di più, del fuoco attorno a se». Un infortunio in allenamento prima delle Olimpiadi di Tokyo, lo aveva spinto a lasciare Cuba. È partito per il Giappone, poi ha approfittato di uno scalo in Spagna per non tornare più indietro. Sua madre è arrivata in Italia prima di lui. «Sognavo di viverci e ce l'ho fatta», ha sempre confidato Diaz.

Il tecnico

Fabrizio Donato e proprio Gianni Giannone (che è anche presidente del Coni provinciale) sono state le figure chiave della sua rinascita, prima nella vita e poi nello sport. Ottimo equilibrio tra mente e fisico, uno spirito di sacrificio infinito. «Non mangio e non bevo se so che non devo farlo. Mi alleno e basta, perché questo è l'unico modo per vincere». Anche se ogni tanto una carbonara e qualche supplì al riso ci scappa. Il ballo è l'altra sua grande passione, inevitabile per chi ha il sangue sudamericano. Con la maglia della Libertas Unicusano ha vinto tanto, ha ritrovato fiducia, ha capito che un altro mondo era possibile. «La mia storia è nata con la Libertas e questo amore non finirà mai, mi sento parte della famiglia di Livorno», ha dichiarato poco prima di partire per Parigi. Poi la lunga attesa per la gara, una qualificazione conquistata con fatica con la dodicesima misura. Ma gli occhi e la voglia di chi voleva e doveva dimostrare qualcosa al mondo, a chi lo aveva accolto e salvato e anche a se stesso. Ed ecco che arriva subito il salto del campione che lo piazza a medaglia, sul gradino più basso del podio, dietro a alla spagnolo Diaz Fortun e al portoghese Pichardo. Ironia della sorte tutti e tre di origine cubane. Poi la scelta di non saltare il quarto e quinto tentativo per concentrarsi sull’ultimo salto. Per fortuna di Andy e dei suoi tifosi nessuno, anche per la pedana bagnata supera la sua misura. Poco importa se il sesto tentativo passerà alla storia solo per le statistiche e non sposta il risultato finale della gara. Caro Andy, ci hai fatto emozionare. Quel 17, 64 strappato su una pedana bagnata ha fatto esultare tutta l'Italia. Grazie. Adesso non ci resta che aspettarlo a Livorno per festeggiare questo grande risultato. Magari tra un cacciucco e una melodia cubana. Ovviamente con il bronzo al collo.

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