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L’intervista

La promessa di Mosseri, nuovo direttore generale amaranto: «Sarà un Livorno leale e vincente, ecco la mia sfida»

di Federico Lazzotti
La promessa di Mosseri, nuovo direttore generale amaranto: «Sarà un Livorno leale e vincente, ecco la mia sfida»

Il manager svela i retroscena dell’accordo con Esciua e i progetti. «Riportare subito la squadra dove merita. E se arriveranno altre cose per la città meglio»

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LIVORNO.  Quando ieri mattina «presto» Vittorio Mosseri ha letto la locandina del Tirreno si è emozionato: «Non voglio passare da frignone – ammette – però vedere il mio nome sulla civetta mi ha stupito. Fino a quel momento non pensavo che la nomina a direttore generale del Livorno fosse così importante, invece vederla scritta mi ha fatto uno strano effetto. Da un lato mi sono emozionato, dall’altro mi sento ancora più responsabilizzato e carico di prima. Adesso spero di non deludere le aspettative di nessuno, e mi impegnerò per soddisfare le ambizioni che abbiamo».

Comincia da qui la prima intervista operativa del nuovo regista amaranto, l’uomo che il presidente Joel Esciua ha scelto come prolungamento di sé all’interno del Livorno calcio.

Direttore, poi Il Tirreno lo ha letto?

«Macché (ride ndr). Dalle 6,30 ho solo risposto al telefono e ai messaggi di congratulazione che mi sono arrivati dagli amici. Parole che mi hanno fatto piacere: attestati di stima di un sacco di persone. Ma ripeto: l’obiettivo è riportare il Livorno calcio dove merita. Io ci metterò le competenze che ho accumulato in ambito aziendale. Il Livorno merita un’altra categoria e chi lavora per il Livorno, escluso me, sono di un’altra categoria. E dico tutti: dal magazziniere a chi ho conosciuto, hanno tutti qualità importanti. Ecco perché sono orgoglioso di far parte di questo gruppo».

Quando gli è stato proposto il ruolo di direttore generale e in che termini?

«Conosco il presidente Esciua da tre anni, forse sono quello che lo ha conosciuto per primo. Ma la proposta è recentissima, di una settimana fa. Parlando mi ha chiesto se mi poteva interessare. Penso che ciascun livornese che ama la città vorrebbe stare al mio posto perché mi dà la possibilità di occuparmi di una cosa che mi piace».

È vero che non avete parlato di soldi?

«È così, lo faccio in via amichevole. È una sfida affascinante. Conosco il Livorno da tifoso, frequento lo stadio da chissà quanto tempo. È bello essere dentro un cambiamento di gestione radicale rispetto a quella precedente. E non è una questo qualitativa, ma strutturale».

Per chi no la conosce oltre a essere il presidente della comunità ebraica livornese è manager di una ditta farmaceutica. Ma che rapporto ha con lo sport?

«Nel mondo dello sport non mi conosce nessuno. Detto in altri termini non ho patenti o medaglie sportive se questo è quello che voleva sapere».

Questo può essere un vantaggio?

«Credo che il presidente lo ritenga un vantaggio. Ovviamente c’è chi penserà il contrario. Credo che Joel volesse una figura più manageriale e meno sportiva. Le dico di più: non ha scelto me per amicizia, e se lo avesse fatto non sarebbe onesto nei confronti della città».

Con questo incarico manterrà la carica di presidente della comunità ebraica di Livorno?

«E perché dovrei lasciare. Le due cose non sono incompatibili. Poi vorrei che il mio lavoro fosse valutato come direttore del Livorno calcio».

Come ha già accennato è in corso una rivoluzione dentro il Livorno sia tra i giocatori che nell’organigramma societario. Non si rischia di perdere l’identità: vedi l’addio a Igor Protti?

«Sul bisogno di questa rivoluzione dovete chiedere al presidente. Io posso dire che il Livorno ha obiettivi importanti: vincere sul campo e nei bilanci, in lealtà sportiva, trasparenza e rispetto di tutti. Tutto per essere una squadra vincente che punta in alto».

Per adesso però i giocatori sono pochini. Può rassicurare i tifosi: il 30 luglio il Livorno sarà pronto per il ritiro?

«Assolutamente sì, ma non mi chieda i nomi dei giocatori, posso solo dirle che stanno lavorando bene. Io ho la stessa fiducia che hanno i tifosi. Ma non entro nel merito, anche per i rispetto dei ruoli di ciascuno».

L’ultimo problema che è emerso a livello logistico riguarda il campo di allenamento. C’è una soluzione?

«Se oggi avessi una soluzione gliela direi. Stiamo lavorando e siamo certi di poter mettere in condizioni i giocatori di allenarsi in campi sportivi degni del blasone e della categoria. Mettendo i ragazzi nelle condizioni di rendere al massimo».

Joel Esciua è un tipo riservato, quasi enigmatico. Lei che lo conosce come lo descriverebbe?

«Io descrivo Joel come un manager di altissimo profilo morale. Ha una visone strategica importante e prospettica con un profilo internazionale che farà bene a Livorno perché ci aiuta a vedere le cose in maniera più grande. Dico di più: è molto ambizioso e farà bene al Livorno calcio».

Ci sono altri interessi legati all’acquisto del Livorno?

«Per ora limitiamoci a fare bene per il Livorno calcio. Poi se di riflesso avrà qualche ricaduta positiva sulla città anche meglio. Ricordiamoci cosa è successo con Spinelli».

Livorno è la città delle Leggi Livornine e dell’accoglienza, ma negli anni proprio la curva si è schierata spesso con il popolo palestinese: è preoccupato di questo aspetto?

«No, assolutamente. Bisogna uscire dall’ottica della comunità ebraica, io sono livornese ebreo, Esciua è un ebreo franco brasiliano. Un conto è Israele, un conto è il resto. Se la curva vuole manifestare per i palestinesi perché crede che sia un popolo oppresso ok, l’importante è non avere rigurgiti antisemiti. Proprio perché Livorno è la città dell’accoglienza noi lotteremo contro razzismo e antisemitismo».
 

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