Don Bosco, la fucina di giocatori che dà livornesità a Libertas e PL
Faraoni: «Quei ragazzi sono un messaggio sull’importanza del settore giovanile ma la città ha bisogno di impianti, il Modigliani Forum deve ospitare lo sport»
Libertas e Pielle, con i loro squadroni, dominano la serie B. E in questa cavalcata – molto più di quel che succeda in qualunque altra piazza del basket italiano – c’è tanto talento fatto in casa, tanta livornesità, su entrambe le sponde: Forti, Fantoni, Lucarelli, Paoli, Graziani sono nati e cresciuti all’ombra dei 4 Mori in quella fucina di giocatori e allenatori che è la Pallacanestro Don Bosco, da dove ha spiccato il volo anche Saccaggi, che livornese non è, ma che con i colori rossoblù è diventato un giocatore.
Massimo Faraoni, fondatore e attualmente socio del Don Bosco, oltreché segretario generale della Lega Pallacanestro e presidente della Fip Toscana: quanta soddisfazione si prova a vedere tutti questi giocatori tra LL e PL?
«Fa piacere vedere in diversi campionati nazionali e in squadre di vertice molti ragazzi che sono cresciuti nel vivaio del Don Bosco. È una gratificazione al lavoro portato avanti da parte della società, dei dirigenti e in particolare degli allenatori. Oggi non credo sia facile trovare tanti allenatori a livello di A1 e A2 o addirittura affermati a livello internazionale come Luca Banchi, che hanno fatto un percorso di formazione ed esperienza in una stessa società, come accade per il Don Bosco. È grazie a loro che negli anni abbiamo cresciuto e lanciato nel basket di vertice molti giocatori di interesse nazionale. A questo mi piace aggiungere le numerose finali nazionali raggiunte dalle nostre squadre e i tantissimi giocatori delle varie categorie cresciuti nel nostro vivaio che hanno indossato l’azzurro».
Perché una società deve continuare a investire sul settore giovanile come fa il Don Bosco pur essendo finiti da molto i tempi della A?
«Oggi fare settore giovanile ad alto livello, con squadre nei campionati di Eccellenza e con una foresteria, ha costi importanti e richiede molti sacrifici. Dopo quasi due anni di Covid dove gli sport di squadra hanno subito molto, vedere ragazzi cresciuti nel vivaio che hanno fatto un percorso di formazione sportiva ma anche umana, giocare ad alti livelli, è gratificante. Ciò che sta accadendo a Livorno, dove due ottime squadre come LL e PL hanno tanti giocatori del vivaio Don Bosco, rappresenta un messaggio importante per chi investe nel settore giovanile. La serie A per noi riguarda il passato, non abbiamo manie di grandezza per la prima squadra ma puntiamo al lavoro con i giovani».
Quanti giocatori di formazione Don Bosco ci sono in giro nei campionati principali?
«Una trentina tra campionati nazionali e regionali. A 20 anni c’è lo svincolo d’ufficio dopo un percorso che inizia a 13. Con noi i ragazzi arrivano all’Under 19 Eccellenza, campionato che l’anno scorso si è concluso col terzo posto di Ragusa, dove c’erano tanti giovani che oggi hanno iniziato un percorso senior, come Mazzantini, Kuuba, Onojaife, Bechi, Stefano Mori».
Quanto è duro il salto nel mondo senior?
«Non è facile. Il passo è successivo a un percorso di formazione sportiva, tecnica ma anche umana. Negli anni il Don Bosco ha sempre dato molta importanza al percorso di crescita dei ragazzi, tanto che grazie a Drass assegniamo borse di studio ogni anno. L’obiettivo del percorso è indicare ai ragazzi il valore dell’impegno, del sacrificio e del rendimento scolastico. Questa crescita umana aiuta nel salto tra i grandi».
E poi, dicevamo, ci sono gli allenatori...
«Ramagli, Diana, Sodini, De Raffaele e Banchi sono i cinque al top. Tanti altri sono in B. E voglio ricordare Da Prato, che per tanti anni è stato con noi».
La foresteria è uno dei segreti dei successi del Don Bosco. Qui sono cresciuti tanti giocatori non livornesi che hanno deciso di crescere a Livorno. E dopo trent’anni è ancora aperta...
«Adesso abbiamo 5 ragazzi provenienti da tutta Italia. È sempre stata una forma di impegno, di investimento e anche di sacrificio per reclutare giocatori di interesse nazionale, che possono fare un percorso nel Don Bosco non solo per un risultato immediato ma anche per guardare al futuro».
Parente, Santarossa, Podestà sono alcuni dei frutti, forse quelli che a Livorno si ricordano di più, essendo stati poi perni del Don Bosco-Basket Livorno di serie A...
«Abbiamo avuto varie edizioni di ragazzi passati dalla foresteria e diventati giocatori di interesse nazionale: Saccaggi, Renzi e Portannese, Cotani e Garri, gente che ha giocato in A1 e A2, dove oggi abbiamo Martini e Benvenuti e Jacopo Giachetti che è cresciuto qui».
Quattro scudetti Juniores, categoria che equivale alla Primavera nel calcio. Ma il titolo manca da un po’...
«L’ultimo scudetto giovanile arrivò nel 2000, con De Raffaele allenatore, a Salsomaggiore, e Cotani in campo. L’anno scorso abbiamo ottenuto un gran risultato a Ragusa, abbiamo lottato punto a punto con la Stella Azzurra che ha vinto il titolo e siamo arrivati terzi con un gruppo di ragazzi 2002-2004 provenienti da un percorso molto importante. Le finali nazionali sono la gratificazione del lavoro di un anno fatto di apprendimento di valori».
Quali ritiene siano i più importanti?
«Passione, entusiasmo, impegno quotidiano per raggiungere la mentalità giusta di un atleta, che lavora per poter giocare in una categoria superiore o ottenere obiettivi importanti. Queste componenti sono determinanti in un percorso sportivo ma anche umano, le due strade sono parallele, la formazione sportiva aiuta a crescere nella vita».
Libertas e Pielle sono ai vertici, ma a livello di settore giovanile soffrono. La prima ne è quasi sguarnita, la seconda, che un tempo sfornava talenti, fa grande fatica a rilanciarsi. Si può pensare di stare ai vertici senza un vivaio?
«È un discorso di programmazione: ci sono società che fanno investimenti importanti nel settore giovanile perché esso sia il vivaio della prima squadra, ma sono scelte di programmazione e di volontà della proprietà e del management tecnico. In A2 e B ci sono società che hanno investito molto in settore giovanile e strutture, vedi Casalpusterlengo, altre che pensano a un discorso di vertice e prima squadra e il vivaio lo gestiscono ai minimi termini. Io nel mio passato ho sempre dato priorità al settore giovanile perché dà un’identità alla prima squadra, ti collega al territorio, alle famiglie, è un percorso non solo di vertice agonistico».
Arrivaste in serie A con mezza squadra nata dal vivaio...
«Sette decimi di giocatori venivano dal vivaio, più due stranieri (Barlow e Simon, ndr) e un giocatore esperto da fuori (Cittadini, ndr)».
Ci sono altre realtà che a Livorno stanno investendo sul settore giovanile...
«La Toscana è un’isola felice, ci sono numerose società che fanno reclutamento e che hanno importanti centri minibasket. Abbiamo società nazionali come Pistoia, Empoli, Firenze Academy che fanno bene l’attività giovanile, Castelfiorentino, Virtus Siena a livello regionale hanno strutture e investono. Sicuramente gli investimenti di 15, 20 anni fa non sono più possibili».
L’anno scorso alla Libertas avevate dato Bechi, Onojaife, Kuuba e Mazzantini. Quest’anno niente. Che è successo?
«Hanno fatto un percorso diverso nella loro libertà di gestione; hanno utilizzato in precampionato Stefano Mori, che poi non è rientrato nelle loro scelte dei 12, ma negli ultimi mesi alcuni ragazzi del vivaio Don Bosco hanno partecipato ai loro allenamenti poiché avevano defezioni».
Come vede il cammino di LL e PL nel rush finale?
«Sono due squadre ambiziose e importanti, che possono essere protagoniste della fase finale per la promozione in A2. Sono attrezzate per buoni risultati. Poi l’A2 ha caratteristiche tecniche, organizzative e di struttura diverse, ma sono due società che hanno fatto passi da gigante sia sull’organizzazione che nella parte tecnica per fare un altro salto».
Meglio consolidarsi in B e non affrettare?
«Credo che abbiano già fatto passi importanti su strutture e consolidamento e siano pronte per un’eventuale promozione».
In città c’è carenza di impianti. Come se ne esce?
«Negli ultimi 35 anni, grazie alla famiglia D’Alesio, il basket ha goduto di due impianti sportivi come Gemini e via Pera, ma non è stato costruito niente tranne che la Bastia a livello di impianti pubblici. Gli sport di squadra hanno grosse difficoltà, servono a breve altri impianti per le società ma soprattutto per i ragazzi livornesi».
La concessione del Modigliani è scaduta. Anni fa anche lei era parte di un progetto (mai decollato) per riportarvi lo sport giovanile...
«Ci fu la proposta di fare un consorzio delle società di basket con una società che poteva seguire spettacoli e musica, mi sembrava l’idea migliore. Il Modigliani deve ospitare spettacoli ed eventi anche a beneficio della città, ne siamo coscienti, basti vedere l’Unipol Arena di Bologna dove giocava la Virtus, che è uno dei palasport più impegnati dal punto di vista degli spettacoli. Ma per il PalaModì ci sono voluti 20 anni, è costato sacrifici importanti alla comunità livornese: oltre agli eventi deve ospitare lo sport, fu fatto per quello e deve essere gestito anche per quello».
È ancora possibile?
«Fu una proposta fatta ai tempi di Cosimi che è sempre stato vicino alla pallacanestro, poi si presentò questa società che gestisce il Mandela e dal punto di vista degli spettacoli ed eventi aveva numeri maggiori. Ma credo che l’amministrazione ora possa di nuovo prendere in considerazione questo tema».
Arriva la nazionale: lei è stato il principale artefice di questa prima partita ufficiale degli azzurri nella storia di Livorno.
«Voglio dire grazie al presidente Petrucci che dopo quel brutto episodio del 2018 ha avuto fiducia nelle istituzioni e nella città di Livorno, a Luca Salvetti e all’amministrazione che è riuscita ad adeguare il Modigliani per giocare una partita di livello internazionale. E poi alla passione e all’entusiasmo della città e della Toscana che in 72 ore ha mandato esauriti tutti i biglietti. È la dimostrazione di cosa vuol dire lo sport e la pallacanestro a Livorno. La Fip Toscana ha avuto un ruolo importante e vorrei ringraziare i miei collaboratori, se vedremo Italia-Ucraina è anche merito della federazione toscana».