Il Tirreno

Livorno

Italia fuori dal mondiale, cinque toscani ci spiegano perché tifare per la piccola Islanda

di Alessandro Bientinesi
L'esultanza dell'Islanda a Euro 2016 dopo aver eliminato l'Inghilterra
L'esultanza dell'Islanda a Euro 2016 dopo aver eliminato l'Inghilterra

Dopo il fallimento firmato Tavecchio-Ventura il calcio italiano prova a risollevarsi. Dare un'occhiata al modello dell'isola del ghiaccio potrebbe tornare utile. Non ci credete? Ecco come una nazione con 330mila abitanti, con i campi di calcio tra vulcani e ghiacciai, è riuscita dove noi abbiamo miseramente fallito

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REYKJAVIK. L’organizzazione rigida come il ghiaccio che domina l’isola per gran parte dell’anno. La passione e l’attaccamento alla maglia caldi come il cuore dei vulcani in grado di plasmare una natura degna di un set cinematografico. Se siete appassionati del Trono di Spade sapete di cosa stiamo parlando.

E poi la spinta dei suoi 330mila tifosi: una nazione intera, anche se la più piccola a qualificarsi nella storia ad un mondiale di calcio. Una spinta potente come il getto di un geyser. Tre elementi con i quali i vichinghi sono ufficialmente pronti ad invadere la Russia: l’Islanda, infatti, ha staccato il biglietto per il mondiale di calcio 2018. Noi ce la guarderemo in tv, eliminati da un’altra squadra del nord, la Svezia.

Gli islandesi, dopo l’incredibile exploit dell’Europeo 2016 (vedi sbattere fuori, a pochi giorni dalla brexit, i “maestri” inglesi) hanno già le valige pronte. Con un coach dentista e un portiere videomaker. Non basta per tifare per questa Cenerentola? Ecco, gli islandesi non sono per niente "amici" degli svedesi. Anzi, tra i due popoli del nord non scorre per niente buon sangue.

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Molte cose di questa nazionale le sappiamo. Prima di tutto che di exploit non si può parlare. Dieci anni fa, infatti, lo stato islandese, che di lì a poco sarebbe stato travolto anche dal fallimento di tutte le banche nazionali, decise che i suoi ragazzi non potevano più annoiarsi. Proprio così: gli inverni lunghissimi, l’impossibilità spesso di incontrarsi, il clima proibitivo e il tanto tempo libero stavano portando i giovani ad abusare di alcol e droghe. Da qui l’idea, semplice: lo sport nazionale è il calcio? Bene, costruiamo nuovi impianti, praticamente tutti al coperto e riscaldati, quasi in ogni villaggio. E poi mettiamoci tecnici ad insegnare calcio con un alto livello di formazione, meglio se con esperienze all’estero.

Tutto qui? No, c’è molto di più. E per capirlo abbiamo chiesto a dei toscani d’Islanda di farci capire come lo sport, e il calcio in primis, venga vissuto dai vichinghi. «Il governo islandese, quando tuo figlio compie 6 anni, mette a disposizione il corrispettivo di 400 euro annuo fino al compimento dei 18 anni di età per fare sport – racconta Caterina Poggi, 29enne di Vicopisano che da quattro, con il compagno Marco, vive nella capitale Reykjavík con il loro bambino avuto proprio in Islanda due anni fa –. Così come gli adulti sono molto impegnati durante la giornata, la stessa cosa avviene anche con i bambini. Sono le società sportive, poi, ad organizzare i servizi di trasporto: praticamente vanno nelle scuole e portano nelle strutture sportive i bambini per poi riportarli a casa. Lo sport è preso molto sul serio: basti pensare che per diplomarsi è necessario sapere nuotare».

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Una macchina logistica che sgrava, a tutti gli effetti, le pubbliche amministrazioni delle spese di trasporto. E permette di investire negli impianti e nei tecnici. «Ho visto paesi con 100 abitanti avere impianti sportivi all’avanguardia – racconta Aleck Martinelli, 23enne di Massa che ha girato a piedi tutta l’isola per 40 giorni –. I bimbi non possono annoiarsi e dopo scuola sono quasi “obbligati” a ritrovarsi per fare sport. Puntano molto anche sulla musica e i risultati si vedono».

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Il livello del calcio locale, però, è ancora comprensibilmente basso. «Nella squadra del Fimleikafélag Hafnarfjörðar, una delle più importanti di Islanda, giocano principalmente tutte persone del posto – racconta Andrea Marraccini, 32enne di Montecalvoli che passa spesso periodi di lavoro come guida turistica per italiani nell’isola –. Diciamo che questa squadra vale un po’ come il Pontedera calcio. Una serie C o serie D di buon livello italiana. I giocatori di caratura internazionale ci sono, come Gylfi Sigurdsson e Johann Gudmundsson, due vichinghi che giocano in Inghilterra. Ma sono comunque cresciuti in società islandesi».

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C’è, poi, l’elemento in più di questa meravigliosa nazionale: i suoi tifosi. L’8% della popolazione era in Francia per seguire l’europeo 2016. In Russia ce ne saranno molti di più. «Quando vedi gli islandesi in tribuna percepisci il loro orgoglio nazionale, sono molto patriottici ma sanno anche essere critici e riconoscere i propri limiti per migliorarsi – spiega Francesca Mazzoni, livornese doc ma che al caldo estivo preferisce il freddo del nord e lo racconta in un bellissimo blog di viaggi e fotografie, “Spiccando il volo” –. L’Islanda ha avuto un boom di turismo dal 2014 ad oggi e molto si deve anche alle attenzioni ricevute negli ultimi due anni per i risultati delle squadre di calcio, sia maschile che femminile. Anche se in Russia ci sarà un vero e proprio esodo, molte persone hanno già prenotato il viaggio per sostenere la squadra».

E c’è da scommettere che sulle tribune di Mosca e degli altri stadi mondiali saranno ben più dell’8% visti in Francia.
 

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