Livorno, morta suicida in psichiatria. Il sindacato dei medici: «Reparto sovraffollato e carenza di sanitari»
Parla il segretario regionale di Anaao Assomed dopo il dramma della donna di 41 anni: «Quanto accaduto non è una fatalità»
LIVORNO. «Come sindacato non possiamo non denunciare che quanto accaduto a Livorno non può essere derubricato a tragica fatalità: è il punto di rottura di un sistema che da tempo scricchiola, in Toscana come nel resto del Paese. I servizi psichiatrici, assieme ai pronto soccorso, sono il ventre molle del servizio sanitario pubblico: reparti sovraffollati, organici cronicamente insufficienti, strutture inadeguate o addirittura chiuse per problemi edilizi – come nel caso specifico – con pazienti redistribuiti in spazi più piccoli e meno idonei. Questa compressione dell’assistenza territoriale si riversa inevitabilmente sui servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri, trasformandoli da luoghi di cura a luoghi di gestione dell’emergenza continua».
L’inchiesta
Ad attaccare l’Asl Toscana nord ovest, dopo che una donna livornese di 41 anni nella notte fra Santo Stefano e sabato 27 dicembre si è tolta la vita in un bagno del reparto di psichiatria, è il medico dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana e segretario regionale del sindacato “Anaao Assomed” Gerardo Anastasio. Su quanto accaduto è stata avviata un’inchiesta da parte della procura labronica, con il fascicolo in mano al pubblico ministero Massimo Mannucci, che ha delegato per tutti gli accertamenti i carabinieri. Proprio i militari dell’Arma, con il nucleo operativo e radiomobile, erano intervenuti già la notte stessa in ospedale, ricevendo poi poche ore dopo la denuncia della figlia della donna, recatasi in caserma insieme alla prozia.
«Carenza di sanitari»
«A fronte di bisogni assistenziali sempre più complessi, il personale medico, infermieristico e sanitario è lasciato solo. I pazienti – prosegue Anastasio – non sono “semplicemente” persone da trattare farmacologicamente: sempre più spesso presentano fragilità sociali, storie giudiziarie, comportamenti imprevedibili o violenti. Chiedere a un numero insufficiente di operatori di garantire contemporaneamente cura, vigilanza costante, sicurezza e relazione terapeutica è pura utopia. Su questo quadro già critico si innesta una cornice normativa che, pur ispirata a principi sacrosanti, finisce per produrre effetti perversi. Da un lato leggi e regolamenti giustamente tutelano la privacy e l’autodeterminazione del paziente; dall’altro, quando accade l’irreparabile, la responsabilità della “custodia” ricade sugli operatori, come se fossero carcerieri più che professionisti della cura. È una richiesta impossibile: garantire libertà senza strumenti, tutela senza risorse, sicurezza senza personale. Una miscela esplosiva».
Tavolo regionale sulla salute mentale
Anche il sindacato provinciale Fials, attraverso Il Tirreno, aveva rappresentato all’azienda sanitaria un problema di organico, chiedendo l’apertura di un tavolo di discussione, pur riconoscendo che sarebbe impossibile, per gli infermieri e gli operatori socio-sanitari in servizio al decimo padiglione, sorvegliare uno a uno e 24 ore su 24 tutti i pazienti. «La morte della donna ricoverata a Livorno non può essere letta solo nelle aule giudiziarie o negli audit interni. È il sintomo – attacca il segretario provinciale di “Anaao Assomed” – di un disastro annunciato, figlio di anni di definanziamento della salute mentale, di smantellamento della rete territoriale, di scelte politiche che hanno preferito chiudere servizi invece di rafforzarli. Quando il territorio viene svuotato, l’ospedale implode. Come sindacato chiediamo con forza l’apertura immediata di un tavolo regionale sulla salute mentale che affronti, senza ipocrisie, tre nodi cruciali: il potenziamento degli organici, l’adeguamento e la riapertura delle strutture territoriali e una revisione chiara delle responsabilità giuridiche degli operatori». Come denunciato anche da Riccardo Bientinesi, il presidente della livornese “Avofasam”, l’associazione di volontariato familiari per la salute mentale, «l’ospedale soffre perché si sta smantellando la rete territoriale della salute mentale, con i presidi decentrati». «Senza questo, continueremo a contare tragedie, a colpevolizzare chi lavora in condizioni impossibili – conclude Anastasio – e a chiamare “emergenza” ciò che in realtà è una scelta strutturale, e ogni episodio di cronaca nera sarà solo l’ennesima pagina di una brutta storia già scritta da tempo».
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