Livornese affonda col motoscafo: «Hanno lasciato aperta una falla» – Ditta condannata a risarcire
L’inabissamento nel mare di Porto Azzurro: dopo tre anni risarcimento di 28mila euro. L’impresa aveva negato di aver effettuato i lavori ma le registrazioni telefoniche avvalorano la tesi del proprietario
LIVORNO. Un foro non sigillato, per questo la barca è affondata nel campo boe. Il tribunale ha condannato una ditta specializzata in impiantistica nautica a risarcire i danni subiti da un diportista livornese dopo l’inabissamento del proprio motoscafo, avvenuto nel maggio 2022 nelle acque dell’isola d’Elba. Con una sentenza pronunciata nei giorni scorsi dal giudice civile Giulio Scaramuzzino, infatti, è stata accertata la responsabilità dell’installatore per un lavoro eseguito senza il rispetto delle cosiddette “regole d’arte”.
La vicenda riguarda un motoscafo “Ranieri Blue Shadow 23”, costruito nel 2007 e rimesso in mare a Porto Azzurro pochi mesi dopo l’installazione di un ecoscandaglio. I lavori erano iniziati nel gennaio del 2022, per terminare a febbraio. L’imbarcazione, ormeggiata a una boa davanti alla spiaggia della Rossa, affondò improvvisamente il 30 maggio 2022. Il proprietario, che abita a Rosignano, citò in giudizio la società che aveva effettuato i lavori, chiedendo il risarcimento dei danni per oltre 38mila euro.
Secondo quanto ricostruito dalla sentenza, l’affondamento sarebbe stato causato dalla mancata sigillatura del foro di passaggio del cavo del trasduttore dell’ecoscandaglio. Un’omissione che avrebbe consentito l’ingresso progressivo dell’acqua all’interno dello scafo, fino alla perdita di galleggiamento del natante. Determinante, ai fini della decisione, è stata la consulenza tecnica d’ufficio svolta nell’ambito di un procedimento di accertamento tecnico preventivo. Il consulente, infatti, ha escluso la presenza di urti o falle nello scafo, individuando come unica causa dell’affondamento proprio il foro non sigillato, verosimilmente riconducibile alle lavorazioni effettuate dall’installatore. «A un esame a vista – si legge negli atti – lo scafo non ha mostrato segni di urti, deformazioni, tagli, falle o altre imperfezioni tali da consentire un ingresso d’acqua all’interno». «Per stabilire le cause dell’affondamento – le parole del consulente tecnico d’ufficio – ho ritenuto opportuno effettuare una prova pratica di galleggiamento. L’imbarcazione è stata posta in mare nella vasca del bacino di un cantiere navale, dove si è potuto constatare l’ingresso di acqua a bordo. Lo specchio d’acqua, luogo di accertamento, era caratterizzato da mare praticamente calmo e assenza di increspature (moto ondoso irrilevante), ma l’imbarcazione ha ugualmente mostrato movimenti oscillatori di rollio e beccheggio col conseguente affondamento periodico di parti dello scafo, soprattutto in relazione alle prove in questione sull’aumento o la diminuzione del pescaggio prua-poppa (beccheggio). In condizioni di imbarcazione ferma e stabile, la linea di galleggiamento è stata rilevata all’incirca uno-due centimetri al di sotto della demarcazione blu-bianca. Effettivamente è bastato un lieve movimento del natante, causato dall’accesso di un paio di persone a poppa provocanti lo spostamento dei pesi, per generare un flusso di acqua attraverso il foro di natura intermittente col movimento dell’imbarcazione, durante la fase di abbassamento a poppa».
L’azienda nautica, nella sua difesa, aveva negato l’esistenza di un rapporto contrattuale con il proprietario del motoscafo, sostenendo di non aver effettuato i lavori contestati. Il giudice ha però ritenuto provato l’incarico, seppur conferito verbalmente, anche sulla base di registrazioni telefoniche presentate in aula, durante le quali l’installatore aveva ammesso di aver eseguito l’intervento e di non aver sigillato il foro perché non ritenuto parte del lavoro.
Il giudice ha ricordato come l’appaltatore assuma «un’obbligazione di risultato e sia tenuto a rispettare le regole dell’arte», rispondendo anche di difetti derivanti da condizioni preesistenti, qualora non segnalate o adeguatamente gestite. In questo caso, l’omessa sigillatura è stata ritenuta una grave violazione degli obblighi professionali. Quanto al risarcimento, il tribunale ha riconosciuto danni per oltre 22mila euro relativi alla riparazione dell’imbarcazione, a cui si sono aggiunte le spese effettivamente sostenute per il recupero, il rimessaggio e la gestione del natante affondato. L’importo complessivo è stato quindi quantificato in 28.450,32 euro. La società nautica è stata inoltre condannata a ripagare le spese legali del giudizio e quelle sostenute per l’accertamento tecnico preventivo, per altri 2.029,59 euro.
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