Livorno, maresciallo assolto dopo nove anni di accuse: «Un incubo, mi ci sono ammalato»
Federico Dati era imputato per concussione e violenza sessuale: «Giustizia è fatta, ma queste incriminazioni tanto infamanti mi hanno distrutto»
LIVORNO. Dopo quasi nove anni di calvario, con tanto di arresti domiciliari nel luglio del 2017, è stato assolto da tutte le accuse perché «i fatti non sussistono». I reati contestati, per lui, erano pesantissimi: la procura lo accusava, ad esempio, di aver abusato dei suoi poteri derivanti dal comando del nucleo carabinieri ispettorato del lavoro di Livorno per ottenere «vantaggi di natura sessuale da una ragioniera per evitare di applicare sanzioni amministrative più gravose ai suoi clienti» (il reato ipotizzato era tentata concussione) e di aver violentato sessualmente un’operatrice di un centro massaggi, che si è poi costituita parte civile, «di fatto omettendo qualsiasi ulteriore controllo nell’attività commerciale».
«La fine di un incubo»
Per il maresciallo maggiore Federico Dati – 65 anni e originario di Napoli – è la fine di un incubo. L’indagine nei suoi confronti era scattata nel 2016 e fino al momento del pensionamento, quando era ancora imputato, era stato sospeso dal servizio con il pagamento di metà dello stipendio. «Queste accuse infamanti – spiega il militare in congedo – mi hanno pure provocato una brutta malattia contro la quale sto combattendo. Definire questo un incubo, per me, è quindi riduttivo. Peraltro avevo un curriculum di tutto rispetto: durante la mia carriera lavorativa non ho mai avuto un richiamo. Ringrazio la mia famiglia, perché mi è sempre rimasta accanto, e i miei due avvocati Igor Leonardis e Antonio Cariello che hanno dimostrato grande professionalità, svolgendo il loro compito al meglio. Non sono cose che vanno date per scontate, quindi ci tengo a sottolinearlo». L’ex carabiniere rimarca come «sia stata fatta finalmente giustizia: andavo a letto la sera con un incubo e mi risvegliavo la mattina con un incubo, credo che qualsiasi persona al mio posto, pur sapendosi innocente, avesse il timore che qualcun altro non riconoscesse le sue ragioni. Lo stress, enorme, mi ha poi portato ad ammalarmi, il prezzo pagato è stato altissimo».
La sentenza
Dati, nonostante la richiesta di condanna a sei anni di reclusione avanzata in primo grado dal pubblico ministero, era già stato assolto quattro anni fa dal tribunale di Livorno, con alcuni reati (come il falso) che erano già stati dichiarati prescritti. Una decisione ribadita, nei mesi scorsi, anche dalla corte d’appello di Firenze dopo il ricorso della procura su alcuni capi di imputazione, con i giudici Francesco Bagnai (presidente), Silvia Mugnaini (relatrice) e Massimo Donnarumma. «Le dichiarazioni delle due persone offese – si legge in un passo della pronuncia – restano poco persuasive e scarsamente attendibili, anche in rapporto ad altri elementi emersi dall’istruttoria svolta, che non solo non le corroborano ma, addirittura, le smentiscono o comunque le privano di ragionevolezza».
In merito all’accusa di tentata concussione nei confronti della ragioniera «deve decisamente escludersi – ribadiscono i giudici – che l’imputato abbia mai usato violenza o minaccia alla persona offesa per ottenere da lei dei favori sessuali facendole pesare, anche solo allusivamente, le eventuali conseguenze negative che avrebbero potuto derivarle dal non avere accettato le sue attenzioni, visto che di una tale evenienza non vi è alcuna traccia nella deposizione resa dalla donna nel primo e nel secondo grado di giudizio. In particolare, ha riferito che in occasione del secondo episodio contestato Dati le aveva effettivamente toccato il seno, mentre in primo grado aveva chiaramente detto e ripetuto che lui stava per toccare il seno, ma che lei glielo aveva impedito».
Contraddizioni, insomma, che non hanno assolutamente convinto la corte, che ha quindi nuovamente dichiarato non colpevole il maresciallo maggiore, che a causa di questa vicenda ha dovuto rinunciare alla parte finale della sua carriera militare, in particolare alla promozione a luogotenente dopo aver comandato, per dieci anni, il Nil labronico. «Il narrato dell’operatrice del centro massaggi – proseguono i magistrati – è nel suo complesso generico e contraddittorio, oltre che, sotto alcuni aspetti, scarsamente ragionevole e privo di elementi di riscontro».
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