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I dati

Sessanta navi dall’inizio dell’anno: è la tratta umana dalla Tunisia a Livorno

di Stefano Taglione
Il momento del ritrovamento del primo cadavere in porto
Il momento del ritrovamento del primo cadavere in porto

Venti respingimenti ogni 12 mesi, con il rischio di un traffico organizzato che è reale. Radès fra i porti più attenzionati

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LIVORNO. Un viavai continuo di navi: 60 solo dal primo gennaio ad oggi. Sono i numeri del traffico merci ro-ro fra i porti tunisini di Radès e Tunisi, distanti pochi chilometri, e Livorno. A queste se ne devono poi aggiungere un’altra decina di altre tipologie da altri scali dello stesso Paese del Nordafrica. È qui, nei container caricati sui rotabili, che possono nascondersi i migranti speranzosi di raggiungere l’Europa. Tratte – quelle fra il continente africano e l’Italia – che purtroppo come la cronaca insegna possono trasformarsi in rotte di esseri umani. Come avvenuto fra mercoledì 29 e giovedì 30 ottobre sulla “Stena Shipper”, il traghetto cargo dove in un contenitore mezzo vuoto e con all’interno gommoni e altri accessori nautici si erano nascosti i due ventenni poi scoperti e respinti dalla polizia di frontiera marittima che, una volta affidati dal comandante danese del ro-ro per il rimpatrio, hanno eluso la sorveglianza gettandosi da un ponte e morendo nel canale fra la calata Bengasi, dov’era ormeggiata la “Stena Shipper” e il varco Zara, che stavano tentando di raggiungere a nuoto. I loro corpi sono riemersi nella mattinata di martedì 4 novembre, certificando una tragedia ancora senza nomi, visto che le loro identità non sono ancora note.

I dati

Sessanta navi ro-ro dall’inizio dell’anno sono sbarcate a Livorno da Radès e Tunisi secondo quanto certificato dai numeri dell’Avvisatore marittimo, la stazione di avvistamento navi e comunicazioni di Livorno che, ogni giorno, monitora e traccia il traffico dello scalo labronico, elaborando statistiche periodiche fondamentali per l’attività degli operatori internazionali, dei terminalisti e degli armatori. La “Amilcar” di CoTuNav, 193 metri di lunghezza e 26 di larghezza, era stata la prima del 2025, l’8 gennaio scorso. Poi molte altre: “Ulysse”, fra le più presenti, “Salammbo”, “Kraftca”, “Leevsteen”, la “Elyssa”, sempre di CoTuNav, e la già citata “Stena Shipper”, che la stessa compagnia tunisina ha preso a noleggio dalla svedese “Stena Line” per effettuare lo stesso servizio merci nel Mediterraneo. Livorno è solo una delle tappe di queste navi, visto che vanno praticamente ovunque: da Genova, a Barcellona e agli altri scali europei. Trentacinque partenze risultano da Radès, 25 invece da Tunisi.

La tratta

La storia recente ci insegna che nei container diretti a Livorno oltre alla cocaina – che però arriva dal Sudamerica – possono nascondersi anche i migranti. In media vengono fatti 20 respingimenti l’anno. Sono le persone scoperte, molte altre potrebbero riuscire a entrare, sfuggendo ai controlli che la polmare fa ogni giorno, in particolare sulle navi da Tunisi e Radès. Un giorno di navigazione viene considerato un rischio accettabile per inseguire un futuro migliore, a un prezzo – dicono gli esperti al Tirreno – più alto rispetto alla salita su un barcone verso Lampedusa, circa cinquemila euro. Il caso della scorsa settimana è solo l’ultimo. Un altro risale a fine luglio 2020, quando sulla “Maria Grazia Onorato” di Moby i marittimi scoprono cinque migranti – quattro sudanesi e un egiziano – in fuga dal terminal Ltm. Per fortuna verranno tutti salvati. «La nostra compagnia – spiega Francesca Scali, l’agente CoTuNav su Livorno – è molto sensibile a questo fenomeno e si pone a disposizione delle autorità per la messa in atto di ogni misura di sicurezza. Difficilmente lasciamo spazio a falle», spiega. Sulle navi della compagnia tunisina si sono verificati, sottolinea, «al massimo 2-3 casi l’anno su Livorno».

I precedenti

I precedenti, purtroppo, non si fermano all’anno del Covid. Nella primavera del 2002 in quattro hanno rischiato la morte asfissiati in Darsena Toscana in un contenitore arrivato in treno dal Nord Italia. Poco prima del Natale precedente quattro rumeni sotto i 40 anni vengono trovati senza vita in un container di piastrelle partito da Reggio Emilia. Non è stata l’unica volta: nel maggio ’99 tre cittadini nordafricani fra 20 e 30 anni muoiono in un container diretto da Livorno a Vancouver. In quello stesso anno le autorità canadesi scoprono 35 persone che stavano tentando di entrare irregolarmente nel loro Paese via mare: 27 provenivano da Livorno. Ma la lista dei casi potrebbe essere lunghissima: ad esempio raccontando dei quattro cittadini moldavi che nel dicembre 2001 vengono salvati dalla polmare. Poche settimane prima un altro gruppetto dall’Est Europa viene scoperto appena prima di morire per disidratazione: avevano fra 20 e 22 anni, un po’ di cibo ma soprattutto un trapano per fare i buchi nella lamiera dello “scatolone” da 20 piedi se avessero sentito mancare l’aria.

Parla l’ex agente

«Dall’area doganale di Livorno, ultimamente, abbiamo fatto in media una ventina di respingimenti l’anno. Di solito funziona così: i migranti si imbarcano dal porto di partenza con la complicità di qualcuno e salgono sulla nave già dentro il container. Radès, in particolare, da questo punto di vista si è sempre distinto molto negativamente», le parole al Tirreno di un ex agente della polizia di frontiera, sempre in prima linea per contrastare gli ingressi illegali in Italia. «Ci sono mesi in cui ce ne sono meno, altri in cui aumentano. In ogni caso, negli ultimi due anni, grazie allo spostamento della banchina che ospita le navi in arrivo dal Nordafrica la situazione è notevolmente migliorata, perché dove ormeggiano ora le barriere fisiche sono rinforzate ed è molto complicato oltrepassarle».

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