A Livorno la casa del cuore del generale Garibaldi: viaggio esclusivo tra cimeli secolari e foto inedite
Il Risorgimento italiano, Ardenza e la sua “villa Francesca” raccontano. Qui vissero l’ultima moglie dell’eroe, la figlia Clelia e la dama di compagnia
LIVORNO Nella casa ardenzina del cuore del generale Giuseppe Garibaldi. Con le sue posate da campo. Il contenitore storico dei dispacci che ha custodito sicuramente anche frammenti di Unità d’Italia, magari recapitati su carrozze e cavalli a Mazzini. C’è l’album di famiglia del trapassato remoto con l’eroe dei due mondi in posa: tante immagini scolorite dal tempo, da fiero condottiero, primi piani. Poi il figlio Manlio, neonato, più grandicello.
L’adorata figlia Clelia, il matrimonio di fine ’800 con l’ultima moglie, Francesca Armosino insieme ai figli. Immergersi in questa storia secolare che ad Ardenza, si tocca con mano. Anzi addirittura canta, in qualche modo, grazie ad un prezioso grammafono di inizio ’900 appartenuto a donna Clelia, con la puntina che accarezza l’inno di Garibaldi cantato da Enrico Caruso. È un rito che si tramanda da mezzo secolo ogni volta che un ospite entra nel salone-museo di Villa Francesca. Con foto in bianco e nero di incontri tra donna Clelia Garibaldi e il presidente Luigi Einaudi. Vederla, bambina, col padre e rendersi conto che quella foto sbiadita dal tempo è su tutti i libri di storia. Mentre l’originale è a due passi dai Casini di Ardenza.
Perché Livorno
Villa Francesca è un piccolo, grande museo del Risorgimento dove abitava la vedova di Garibaldi, l’ultima moglie Francesca Armosino: la famiglia venne a Livorno per seguire il figlio Manlio che frequentava l’Accademia, su precisa indicazione dell’eroe dei due mondi, che aveva scelto la dimora storica di Ardenza come seconda casa di famiglia. Qui lui non abitò mai: morì prima, il 2 giugno del 1882. Sua moglie acquistò Villa Francesca nel 1888. Una storia di portata mondiale (perché Garibaldi e le sue imprese sono note in tutto il pianeta) che continua a raccontarsi, oggi, grazie alla memoria vivente di quei nipoti torinesi, l’ingegner Renzo Gonella con la moglie Piera e alle figlie Laura e Luisa, a cui zia Clelietta - la dama di compagnia della figlia di Giuseppe Garibaldi - ha lasciato questa eredità, sì materiale e preziosissima, ma soprattutto spirituale. La missione di tramandare. Di continuare a far vivere un pezzo di storia dell’ Italia di oggi che lei, zia Clelietta Gonella, nipote di cuore di donna Clelia Garibaldi - e anche parente - aveva ereditato alla morte della figlia del condottiero, nel 1959. Ed è la famiglia torinese Gonella, a Livorno, ad aprirci quelle stanze dove il tempo sembra essersi fermato. Così il giardino con le sue statue.
Caprera, Torino, Ardenza
Donna Clelia da una parte, l’altra Clelia (Clelietta) sua dama di compagnia da quando aveva 16 anni, dall’altra. Un filo che unisce Caprera, Torino e Ardenza. Una storia che permette di conoscere lati privati, intimi dell’eroe dei due mondi. Che per la famiglia Gonella ormai sono casa. Renzo Gonella è il nipote di Clelietta: ingegnere in pensione, da bambino ha conosciuto donna Clelia Garibaldi. Con la zia Clelietta ha ricordi a Caprera, sì. Ma anche a Livorno. Conosce ogni aneddoto di quei 27 anni in cui la zia ha vissuto accanto a donna Clelia. Conosce a menadito le lettere tra il generale e i suoi “amici”, Victor Hugo, Crispi («quando Garibaldi non riusciva a divorziare dalla seconda moglie la contessina Raimondi, si rivolse a lui», racconta), Mazzini. «Sono contento di vedere ogni tanto focolai di interesse per questa storia», è il commento dell’ingegnere. Che decine e decine di volte ha raccontato questa storia, appunto.
Nella casa-museo
Sul tavolo della splendida sala monumentale abbellita da due colonne di marmo, tra arredi cifrati d’epoca con le inconfondibili iniziali G.G. (Giuseppe Garibaldi), specchiere secolari, consolle, vetrine, sedie intarsiate che hanno due secoli. Sul tavolo c’è un libricino dedicato a Villa Francesca scritto da Maria Falcucci Grassi. Poi un volume, “Mio padre”, scritto da donna Clelia, ripubblicato in tempi più recenti da Sorba. Con questo libro si apre una finestra su aspetti ancora sconosciuti della vita del generale. E c’è tanta Livorno.
La figlia Clelia racconta la vita, le emozioni, i sentimenti degli ultimi 20 anni di vita di Garibaldi, eroe non soltanto in guerra, ma anche tra le pareti domestiche e lo fa per mano di Clelietta. A cui detta queste sue memorie. Clelia Garibaldi muore il 2 febbraio 1959. È l'ultima ad andare a riposare nel piccolo cimitero di Caprera. Dietro di lei si chiude il cancello definitivo. La casa viene assorbita dal museo. E Livorno, invece, continua a vivere. E a raccontare la storia. Tutto là dentro, al piano nobile, è rimasto come mezzo secolo fa.
Come sottolinea Renzo Gonella il rapporto di sua zia Clelietta con la villa di Ardenza fu strettissimo. Al piano terra, un tempo, varcato il portone d’ingresso c’era la sala d’armi. In fondo, nel giardino la stalla dei cavalli di famiglia, la casetta del cocchiere, lo spazio per la carrozza, i lavatoi, le statue, il verde secolare. Oggi l’ingresso monumentale è ancora là: al muro stemmi e raffigurazioni di battaglie, lampadari d’epoca, affreschi, la scala monumentale che porta al piano nobile. La villa oggi è divisa in appartamenti: fu la decisione di zia Clelietta per mantenere meglio un immobile così importante. Il giardino è immutato nel tempo. Nella storicità e nella bellezza.
Tra le mura di Ardenza si conservano documenti, corrispondenza privata, esclusive lettere di famiglia del generale. La sua scrittura, i suoi sentimenti. L’ingegner Gonella ci tiene a sottolineare che si tratta solo di una piccola parte dei materiali originari: ciò che hanno lasciato gli americani che durante l'ultima guerra depredarono la villa portando via tantissima roba di valore.
«I tedeschi no, loro quando seppero che era la villa di Garibaldi fecero il saluto militare e se ne andarono», riavvolge il filo. Poi quando donna Clelia e zia Clelietta tornarono, rimisero insieme in sesto la casa con ciò che restava. Villa Francesca non fu un dono semplice da gestire per zia Clelietta: venderla, però, sarebbe stato un sacrilegio, questo era un luogo di memoria, di culto. Allora su consiglio di un vecchio amico, il colonnello Arrighi che abitava da anni al piano terra, la divise in appartamenti. Pur mantenendo il piano nobile e tutta la storia narrante che quella casa museo riesce bene a raccontare ancora oggi.l
