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Livorno e la destra, una storia di contestazioni: dalla love boat di Berlusconi al dito medio di Salvini

di Juna Goti
Livorno e la destra, una storia di contestazioni: dalla love boat di Berlusconi al dito medio di Salvini

Dal “caos Borghezio” del 2006 al gestaccio di Salvini nel 2015, fino agli sputi a Meloni nel 2018: la città labronica, culla del Pci e del sarcasmo politico, resta un campo minato per i leader del centrodestra

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Fanno rumore le scene che si sono viste martedì fuori dai Pancaldi, blindati per l’arrivo del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini: centinaia di persone che manifestano in modo acceso, sì, ma pacifico; lui che sceglie di parlare con i giornalisti per strada, mentre lancia baci alla folla; la manifestazione che alla fine degenera con un gruppo di incappucciati che si lascia andare alla violenza, scatenando la solidarietà e la condanna di tutta la destra italiana. Una cosa però, senza voler giustificare in alcun modo i gesti violenti, va detta: chi volesse accendere una miccia in campagna elettorale, scatenando il caso politico, a Livorno ha vita facile. E non da oggi, da sempre.

Il caos Borghezio

Lo racconta la cronaca. Per restare in casa Lega, quando nel febbraio del 2006 l’europarlamentare Mario Borghezio si affacciò a Livorno per parlare di Islam, il centro della città fu paralizzato per ore: lui chiuso in una stanzetta della circoscrizione, dietro al Comune, con una trentina di simpatizzanti, fuori centinaia di manifestanti, gli scontri con la polizia, i feriti. Insomma, guerriglia urbana.

La riunione, organizzata dal leghista in una città che allora contava una manciata elettori, era stata da subito letta come una provocazione, un tranello politico: il sindaco di centrosinistra Alessandro Cosimi e il presidente della Provincia Giorgio Kutufà provarono a lanciare appelli all’insegna del manifestare pacifico, ma finì malissimo. E Borghezio, mentre era asserragliato, commentò così: «Questi sono peggio di Hamas».

Il leghista tornò a Livorno nove anni dopo, nell’aprile del 2015. Il bar che doveva ospitare il comizio sull’ “immigrazionismo”, sommerso dai messaggi di protesta, si tirò indietro: «Non sapevo che sarebbe venuto lui, l’ho letto sul sito del Tirreno, un mio dipendente aveva fatto un preventivo per una conferenza, come capita spesso», disse il titolare. Così Borghezio si spostò all’Hotel Granduca: «Se pensavano di spaventarci si sono sbagliati, aspetto ancora le scuse per il 2006». Tutto questo accadeva proprio nel giorno in cui la città si mobilitava contro la crisi e per il lavoro. Così ecco l’appello del sindaco M5S Filippo Nogarin: «Chi semina odio e pregiudizio merita di essere isolato, ignorato». Alla fine l’iniziativa andò in scena tra pochi intimi, con il primo cittadino che da Borghezio si vide recapitare gli insulti («Nogarin è un verme»).

Salvini, uova e dito medio

Matteo Salvini, invece, si ricorderà di quando in via Grande, di fronte a un poderoso lancio di uova, rispose ai manifestanti sfoggiando riflessi niente male e un elegante dito medio. Era l’aprile del 2015: anche questa volta il cuore del Pentagono fu blindato, i manifestanti bruciarono in piazza la bandiera della Lega mentre il Matteo nazionale, con l’immancabile maglietta “Livorno”, fu circondato dai suoi sostenitori che volevano stringergli la mano: «Andremo a liberare la Toscana che apre le finestre dopo 45 anni di occupazione di sinistra», il ritornello. Ma mentre volano frutta e pomodori, risalì in auto e l’annunciato tour tra i banchi del mercato saltò.

Striscioni e selfie

Molto diverso è stato tre anni dopo il ritorno del numero uno della Lega a Livorno, sempre in pieno centro, tra via della Madonna, via della Posta e via delle Galere. Febbraio 2018, i tanti manifestanti, questa volta, scelgono la contestazione pacifica. Parla un grande striscione: “A Livorno il razzismo non passerà”. Ce l’hanno anche con la Chiesa, per i 350 euro incassati dalla parrocchia che ha affittato la sala. Salvini dentro lancia la sfida per le amministrative che ci saranno da lì a un anno: «Prenderò Livorno». Davanti a lui sala piena, quando finisce di parlare si forma una lunga fila di sostenitori che chiedono un selfie. È il momento di maggiore appeal della Lega, che alle elezioni politiche, un mese dopo, anche a Livorno diventa di colpo il primo partito di centrodestra, con quasi 14mila voti, il 15,5 per cento.

Giorgia: dagli sputi al top

Parabola inversa per Giorgia Meloni, la leader di Fdi oggi prima presidente donna del Consiglio. Quando arriva in città, il 13 febbraio del 2018, in piazza Garibaldi non l’aspetta un amorevole comitato di benvenuto alla vigilia di San Valentino. Lei vuole fare un giro nel quartiere che ha tante difficoltà e tanti immigrati, e il suo tour suona come l’ennesima provocazione: dalle mura della Fortezza Nuova, dove campeggia la scritta “Msi fuorilegge”, viene calato un lenzuolone con la scritta “Livorno non ti vuole”. Ad aspettarla c’è un mare di contestatori: i cori diventano sputi. Lei resta mezz’ora, circondata dalla polizia, poi risale in macchina verso Pontedera.

Alle politiche di un mese dopo Fdi prenderà a Livorno meno di 3mila voti, appena il 3,27 per cento. Ma nel 2019, in campagna elettorale per le amministrative, il clima è già un po’ cambiato: prima al Mercato poi tra i palazzoni popolari della Guglia, c’è chi l’aspetta con gli applausi. Quell’anno, per la cronaca, Andrea Romiti (centrodestra) perde il ballottaggio con Luca Salvetti (centrosinistra), ma quando Meloni diventa presidente, nel 2022, in città Fdi ha il 21,29 per cento (16.389 voti) e negli equilibri interni al centrodestra surclassala Lega.

Berlusconi-story

Di contestazioni, va detto, in città ne sono piovute non solo a destra. Ne sa qualcosa Matteo Renzi, che da presidente nel novembre del 2016 fece tappa all’auditorium della Svs in via delle Corallaie: più di 600 persone dentro, gli striscioni del Coordinamento lavoratori e lavoratrici livornesi fuori, a distanza.

Ma tornando a destra, il capitolo che forse più di tutti passerà alla storia è quello scritto dalla love boat di Silvio Berlusconi ormai un quarto di secolo fa. È il primo aprile del 2000, la Nave Azzurra del cavaliere fa tappa in porto. Ad aspettarla in mare, come pirati all’arrembaggio, ci sono comunisti e radicali. I militanti di Rifondazione sventolano le bandiere con falce e martello dal battello che di solito viene usato per portare i turisti lungo i fossi: “Altro che crociera, devi andare in galera”, c’è scritto sullo striscione. Cravatta e cappellino, i Radicali viaggiano invece sul gozzo Forza Emma: con loro palloncini gialli e la scritta “non affonderete il maggioritario”. Il contrattacco azzurro arriva dal cielo, dove per quasi dodici ore due aerei sorvolano la città con uno striscione inneggiante alla libertà (e i livornesi intasano i centralini per protestare contro il rumore). Nel garage-auditorium ci sono i sostenitori di Silvio arrivati da mezza Toscana: fanno un tifo che nemmeno la curva milanista, credono nell’arrembaggio alla regione rossa, ma se ne vanno delusi. Non è un pesce d’aprile: il leader del Polo, steso dall’influenza, non sale sul palco. Berlusconi quel giorno non mette piede a terra, nonostante l’istituzionale e fine invito del sindaco Gianfranco Lamberti: venga a vedere, gli scrive, il restauro del Teatro Goldoni, da dove nel 1921 partirono gli scissionisti per far nascere il Pci («sono certo che non le creerà imbarazzo...»). La risposta del Cavaliere a distanza? «Ci vada Veltroni in quel luogo di iattura dove è nato un incubo».

Sul rapporto tra Livorno e Berlusconi si potrebbe scrivere un libro. Come quando nel 2004 i livornesi si riversarono a migliaia a San Siro per seguire gli amaranto con la bandana bianca sulla testa, proprio come il Cav aveva accolto Tony Blair e signora a Porto Cervo. O come quando in pieno centro comparve il bar Bunga Bunga. Un’ossessione per Silvio, Livorno. Tanto che, si narra, una volta rispose così al sindaco di Firenze Renzi che ad Arcore gli suggerì di far lavorare in pace Max Allegri, neo tecnico del Milan: «È peggio che comunista, è livornese, li-vor-ne-se, capisce?».

Ma riletto oggi questo sembra un altro mondo, fatto più di sfottò e ironia che di violenza e provocazioni. Alla morte di Berlusconi, nel giugno di due anni fa, qualcuno in città lo ha ricordato anche come il “nostro miglior nemico”. Con Salvini & Co è stata sempre un’altra storia. l

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