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Livorno, nuove generazioni e futuro: l'analisi di Artico: «Per i giovani c’è ancora speranza, non sono solo divertimento e social»

di Martina Trivigno
Livorno, nuove generazioni e futuro: l'analisi di Artico: «Per i giovani c’è ancora speranza, non sono solo divertimento e social»<br />
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Il direttore della Psicologia Asl: «I ragazzi seguano passioni e inclinazioni. Ai genitori dico: non esistono percorsi
prefabbricati, ascoltateli e accompagnateli»»

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Livorno «C’è un adagio famoso che recita: “Meglio disoccupati a Livorno che ingegneri a Milano”. Ecco, i dati statistici dicono il contrario: un livornese su dieci va a lavorare all’estero».

Nicola Artico, direttore dell’Unità operativa Psicologia e dell’Unità clinica di Salute mentale infanzia adolescenza dell’Asl Toscana nord ovest, inizia da qui per raccontare che i giovani livornesi sono molto lontani da un’immagine di solo divertimento e poco impegno.

Anzi: basta leggere la storia – pubblicata sul Tirreno di ieri – di Gianluca Santini e Matilde Mancini, classe 2005, diplomati l’anno scorso all’Enriques e premiati per il loro brevetto per la propulsione dei razzi nello spazio. Non solo: a soli 20 anni, saranno gli ambasciatori livornesi nel mondo – e per la precisione ad Osaka, in Giappone – all’Expo universale.

Dottore, due giovani che sono un bell’esempio da seguire: quale consiglio possiamo dare ai genitori per aiutare i figli nella loro crescita e formazione?

«La regola più semplice è quella di far seguire ai nostri ragazzi le loro passioni, non obbligandoli a fare cose che non amano: così, infatti, si ottengono i risultati migliori. I genitori, dunque, dovrebbero assecondare e stimolare i ragazzi. E una volta che gli stimoli sono arrivati, devono seguirli: se c’è il mix tra passione, interesse rispetto a ciò che studiano e poi razionalità e capacità cognitiva insieme, ecco, arriverà un ottimo risultato».

Capita spesso che i genitori, anche con le migliori intenzioni, indirizzino i figli in una certa direzione: come comportarsi in questi casi?

«È fondamentale non prefabbricare percorsi: perché come l’amore per ciò che si fa è un K moltiplicatore, allo stesso modo anche il disamore è un K moltiplicatore, ma in negativo. Per questo è importante favorire le inclinazioni, accompagnare il giovane nelle sue inclinazioni, non forzare la mano, non dare per scontato cosa è giusto per lui e per il suo futuro».

E sul fronte dei giovani, come possono gestire al meglio le nuove scoperte?

«Scoprire vuol dire vedere un disegno, saper generare connessioni davanti agli stessi dati che altri non possono generare. Questa è la scoperta: il mondo è ricco di dati, però questi dati li possiamo osservare solo con le nostre teorie».

Si spieghi meglio.

«Usando una metafora, la teoria è un po’ come una rete che si butta in mare e, tirando su la rete, quindi la teoria, si prendono dei pesci, che sono i fatti. Però la rete ha dei buchi, non prende tutti i pesci e tanti vanno giù perché la nostra teoria non è in grado di “pescare” tutti i fatti del mondo. Ogni volta che un giovane fa una nuova scoperta vuol dire che migliora quella rete perché è in grado di vedere qualcosa che altri non vedono in quella stessa rete. E spesso per essere piccoli scienziati bisogna essere equilibrati. Ci sono delle eccezioni, non è una regola ferrea, però spesso ciò che premia è anche l’equilibrio, la disciplina e il metodo».

Come si possono far combaciare da una parte la disciplina e il metodo con le distrazioni che inevitabilmente fanno parte della nostra società?

«Questo ha a che fare con una buona educazione: vuol dire stimolare sufficientemente un ragazzo sul fronte cognitivo e abituarlo anche a sorvegliare un po’ le sue emozioni. È evidente che un ragazzo deve avere un rapporto con il limite: uno che invece abbia un difficile rapporto con qualche tipo di limite non farà nessuna scoperta perché deve comunque un po’ disciplinarsi, anche per superarlo poi quel limite. E quindi questo vale anche tradotto nel campo delle conoscenze e della vita sociale: la regola va a conosciuta per poterla trasgredire e poterne fare un uso anche evolutivo, esplorativo».

Quanto conta una buona dotazione cognitiva?

«Aiuta, però la differenza la fanno di più la disciplina, l’equilibrio, una vita emotivamente sufficientemente sana e soprattutto aver avuto la capacità, la fortuna, il caso, tutte queste cose insieme, di poter investire affettivamente su quello che si sta facendo».

Diceva che un giovane livornese su dieci sceglie di andare a lavorare fuori dai confini nazionali: cosa rappresenta questo dato?

«Che i giovani livornesi sono ragazzi capaci, che non vanno soltanto al mare e non pensano solo al divertimento e ai social network. È capitato che si sia creato un filtro negativo che fa arrivare alla conclusione sbagliata: se è vero che vediamo i giovani in strada, al mare o seduti sul muretto, non siamo però in grado di vederli ad esempio quando studiano o semplicemente fanno cose interessanti anche all’aperto. E così si crea questa distorsione cognitiva che non consente di fare una taratura corretta. Bisogna essere più cauti e avere meno pregiudizi, anzi dobbiamo prendere esempio da questi ragazzini che sono appassionati della fisica. Lo scienziato, infatti, è colui che contrasta la nostra prodigiosa capacità di auto-ingannarci. Anche noi, guardando la realtà sociale, possiamo fare lo stesso tipo di riflessioni»l

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