L’indagine
Livorno svela il suo "tempio neoclassico" che guarda la Rotonda tra affreschi e storia
Ardenza racconta uno dei tesori più esclusivi sul mare: viaggio a Villa Anselmi, dimora di metà Ottocento
LIVORNO Villa Sodini. Villa Montanelli. Villa Marta. Ma soprattutto dagli anni ’60 è Villa Anselmi. Tanti nomi, altrettante famiglie importanti che l’hanno abitata e trasformata: si racconta quel simil-tempio neoclassico fronte Rotonda di Ardenza che pianta le sue radici monumentali nel 1850. Arretrata nel parco, la villa appare semi nascosta: è divisa in diversi proprietari e Il Tirreno racconta il primo piano, quello trasformato in chambres d’hotes. Una residenza del trapassato remoto dove l’ospitalità si fa tra affreschi e decori di un edificio importante per la sua storia. «La nostra famiglia l’ ha acquistata negli anni ’60, abbiamo il primo piano nobile e l’ultimo: abbiamo cercato di arredarla mantenendo il pregio con mobili d’epoca sia portati dai luoghi dove abbiamo abitato che dando valore a quelli che abbiamo trovato all’ interno», così Carlo Anselmi e Fabiana Mendia. Sono marito e moglie: rispettivamente lui responsabile licensing - contratti di licenza- per la società Usa di licensing e gestione del marchio Marquee Brands e lei storica dell’arte. Si sono trasferiti da Napoli a Livorno, per ricongiungersi alle origini.
Il primo piano, sormontato da pronao, timpano e colonne imperiali appartiene a loro (così il piano superiore, un tempo probabilmente dedicato alla servitù). Il pian terreno è di altri. Ci sono decorazioni importanti, restaurate nel 2019, lavoro seguito dallo storico dell’arte ed ex assessore alla Cultura Dario Matteoni.
Viaggio nella storia
«È stata costruita alla vigilia dei moti risorgimentali da Franco Montanelli, parente di quel Giuseppe Montanelli che fu all'epoca un celebrato eroe e gonfaloniere della città nell'anno infuocato del 1848», afferma l’architetto e storico Riccardo Ciorli. Si entra nella villa dopo aver attraversato un ampio giardino e si accede a uno degli appartamenti posto al piano nobile e al piano superiore. Nel salone che si affaccia sulla terrazza da cartolina vista mare ci sono tre medaglioni dedicati ai 3 grandi della letteratura Dante, Ariosto e Tasso. In cucina e nelle 2 camere di charme che da qualche tempo fungono da chambres d’hotes per turisti sono riportati alla luce gli affreschi di un tempo. Domina il colore blu. In cucina compare quella che per gli addetti ai lavori è una rosa massonica. Tutto il piano, ne sono convinti i proprietari, un tempo era affrescato. Un tesoro poi ricoperto da intonaco. Un patrimonio che comunque c’è e che, col tempo, rivedrà la luce e di cui, a oggi, l’autore risulta ignoto. In un contesto che si lega a stretto filo con i vicini Granducali Casini di Ardenza. Basta un occhio per vederne le somiglianze. Il pronao stile Pantheon con quelle 4 colonne fa da cornice alla terrazza da cui si vedono il mare e le isole. Una meraviglia sbirciata dai livornesi. Una bellezza ammirata che incuriosisce, la cui storia viene ricostruita in buona parte da Riccardo Ciorli.
Quando cantava Tiberini
La villa è molto vicina a quella che è stata la Villa di Mario Tiberini, famoso tenore marchigiano che sposò di Angiolina Ortolani celebrata soprano. Una coppia di artisti che amavano, quando erano qui all’Ardenza, generare un vero e proprio salotto avente come ospiti Giocchino Rossini, al quale il Tiberini spedì una certa quantità di vin santo di Trevi. Poi Mascagni, nonché la vicina contessa di San Romerio altra ispiratrice di celebri convivi in via Pacinotti.
E ancora la presenza in via del Parco, della villa che Rosa Fagiuoli vedova di Donokoe cedette nel 1894 a Manlio Garibaldi, figlio di Giuseppe, frequentatore della Regia Accademia Navale .
L’architetto del “tempio”
Da chi fu commissionata? Quale fu l’architetto di Villa Anselmi? Anche in questo caso è l’ex funzionario direttivo dell’Archivio Stato e cultore delle ville storiche labroniche ad accendere la luce. Non è facile, perché la documentazione scarseggia e gli stessi proprietari la stanno cercando. Ma si parla di Livorno, a quei tempi villeggiatura estiva d’elite. Luogo balneare, sì, ma anche di incontri politici e sentimentali. E sull’architetto? I proprietari non hanno attestazioni che arrivano così lontano nel tempo. Ma qui ancora Ciorli avanza una convinzione: «Vista la somiglianza stilistica, l'uso dei materiali e la disposizione degli interni propendo sia opera dell'architetto Giuseppe Cappellini ed escludo, anche , per limiti cronologici, che sia di Pasquale Poccianti. Come ricercatore una risposta migliore si potrebbe avere facendo una accurata ricerca storico documentata». Sulla storia Ciorli aggiunge particolari interessanti. «Nel 1893 la villa fu venduta a Carolina Giera: la famiglia livornese fu ammessa alla nobiltà di quella città nella persona di Francesco, Pietro Paolo, con Motu proprio del 15 febbraio 1838; nel 1901 passò ad Ernest Hne, acronimo che in relazione a Livorno potrebbe indicare "High-Net-Worth Estate", ovvero "patrimonio di alto valore", utilizzato nel contesto immobiliare».
E l’architetto innamorato di Livorno e delle sue dimore chiude: «La villa diventò poi Demanio dello Stato allorquando la villa venne sequestrata per ragioni razziali e durante il periodo bellico fu sede di uffici delle truppe di occupazione e forse anche della "Geheime Staatspolizei", cioè la "polizia segreta di stato" nota come Gestapo».
Il mio bisnonno, primo sindaco di Livorno
Le storie della famiglia Anselmi sono tante. Si intrecciano. Girano l’Italia. Sono fitte di aneddoti, di storia economica ed imprenditoriale. E anche di solidarietà. Le radici partono dall’isola d’Elba, in quella dimora storica che si chiama Villa Spinelli, a Marciana Marina. «Era il padre di mio nonno: facevano vino a alcol. Era un grosso mercato», la storia che si srotola nella memoria e nei ricordi dell’imprenditore Carlo Anselmi.
Parla da uno dei divani d’epoca del salone nobile vista Rotonda. Poi la storia arriva a Napoli, a Marigliano per la precisione, dove Palazzo Anselmi era un’istituzione: «Era una grande famiglia, mio nonno aveva 16 fratelli: quando tutti morirono, una delle sorelle di nonno ne fece una pia casa per figli di “Nn”». E del complesso Anselmi se ne parla sul web, sui siti di Marigliano dove si racconta “Una storia articolata, quella di Palazzo Anselmi, che prima d'essere polo religioso e sociale è stata dimora dell'antica famiglia Anselmi. Gli Anselmi, di origini livornesi, trasferitisi a Marigliano nella prima metà del XIX secolo, fondarono qui un'importante fabbrica di alcool. Anselmi e Divina Redenzione sono dunque i nomi che hanno scandito, nel corso di tanti anni, la vita di questo luogo”. Una lapide porta ancora, incisa su marmo, il nome di Luisella Anselmi che il 27 luglio 1952 donò il Palazzo alla Piccola opera della redenzione, fanciulli abbandonati e orfani.
«È stata una famiglia dal cuore grande la nostra: mio babbo lavorava con nonno in una società di trading company che poi fu venduta a un gruppo americano e continuava a lavorare lì come vice presidente - sgorgano aneddoti - E poi mio nonno campione olimpionico di scherma, quando veniva a Livorno Stava con Nedo Nadi».
Da Napoli, fino a Livorno, oggi, per la famiglia Mendia-Anselmi. «Per me questa è casa», dice ancora.
Un ritorno per Carlo Anselmi dopo aver lavorato a Milano, a Roma e in giro per il mondo.
È una famiglia dalle radici e dalla storia importante, che si intreccia addirittura (ma non solo) con la famiglia Sansoni e la vicina Villa Sansoni, sempre di Ardenza, oggi di proprietà del Comune.
«Il babbo di mia nonna, Eugenio Sansoni, fu il primo sindaco di Livorno eletto per Regio decreto nel dicembre 1865: abitavano nella villa ottocentesca di via San Martino, sempre qui ad Ardenza - racconta Anselmi - Mio padre comprò questa casa alla Rotonda negli anni Sessanta e qua, al primo piano, ha abitato anche mio nonno materno, Ippolito Malfanti, medico, con sua moglie Marialuisa Pacinotti». E del nonno medico c’è ancora la targa consumata dal tempo, fuori dal sontuoso cancello d’ingresso.
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